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    Episodes (6)

    Gli scacchi e la Chiesa: un matrimonio realizzato

    Gli scacchi e la Chiesa: un matrimonio realizzato
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7197

    GLI SCACCHI E LA CHIESA: UN MATRIMONIO REALIZZATO di Roberto Beretta
    Il Bianco muove e matta in tre mosse. Se è difficile dare scacco al Re, figuriamoci al Papa. [...] Giovanni Paolo II, infatti, potrebbe essere un avversario ostico anche sulla scacchiera.
    Wojtyla dispone i pezzi da lunga data, pratica gli arrocchi con disinvoltura fin dai tempi del liceo, sposta pedoni e alfieri secondo le regole del giocatore scaltrito. Lo rivela la rivista L'Italia scacchista, [...] proprio con un articolo sul Papa, pubblicando tre problemi (di cui uno inedito) che Wojtyla avrebbe composto negli anni anteguerra per una rivista polacca. Il futuro Papa, infatti, allora diciottenne, si dilettava (come peraltro molti connazionali) di scacchi ed era diventato persino compilatore della colonna di settore sulla rivista degli universitari cattolici di Cracovia; in quella sede avrebbe pubblicato, come usa nelle rubriche di genere, dei "problemi" scacchisti anonimi, che sono stati conservati negli archivi della Federazione polacca e ora tornano alla luce a lui attribuiti con una sicurezza del 90% in particolare uno, del 1938, appare persino in un manuale inglese del 1984 per principianti. L'autore della "scoperta" è Adolivio Capece, direttore de L'Italia scacchistica, che ha ripreso la notizia da riviste di settore e l'ha rilanciata in Italia. Ma Capece è anche "maestro nazionale" ed ha quindi titolo per commentare il livello tecnico di Giovanni Paolo II: "Non si tratta di problemi trascendentali, le sue sono composizioni semplici e lineari da giocatore medio. Sono temi che si basano su quello definito in gergo "scacco di scoperta", ovvero il pezzo che muove e ne "scopre" un altro che dà scacco: un approccio abbastanza comune, ma sempre simpatico. Soprattutto è importante che non siano presenti le cosiddette "demolizioni", ovvero la possibilità di più soluzioni". [...]

    UNA PARTITA PAPALE PAPALE
    Non solo: di Giovanni Paolo II, allora neppure prete, si sarebbe conservata un'intera partita, giocata con una signora dell'aristocrazia di Cracovia; ma qui l'attribuzione è molto più incerta. Mentre due altri, problemi del Papa, pubblicati nel 1987 in Inghilterra e spacciati addirittura come composti nei primi anni di pontificato, si sono presto rivelati apocrifi; anzi, in quell'occasione la Segretaria di stato chiese (e ottenne) la pubblicazione di una smentita e le scuse del falsario. I falsi scacchistici non sono del resto materia nuova per i Pontefici. Già di Giovanni Paolo I, conosciuto per discreto giocatore, era stata tramandata una partita giocata da Vescovo di Vittorio Veneto contro il suo medico personale; ma si tratta di un'attribuzione molto dubbia. E anche Leone XIII, appassionato giocatore (da cardinale sfidava spesso un prete di Perugia), è stato vittima di un falso, in quanto gli venne assegnata un match disputato invece da altri. Tra i Papi scacchisti si segnalano poi il cinquecentesco Leone X, che fin da quando era solo Giovanni de' Medici risultava gran giocatore e continuò anche dopo (tanto da meritarsi una citazione in tal senso persino nell'austera Storia dei Papi del von Pastor), e in misura minore Pio V (1566-1572), mecenate di alcuni noti scacchisti dell'epoca.
    Prima di loro, tuttavia, non è che gli scacchisti godessero di una buona fama in casa cattolica, come documenta l'articolo di Capece. San Pier Daminani, per esempio, nel 1061 scrisse una filippica contro torri e cavalli, "disonesti, assurdi e libidinosi" perché distoglievano i sacerdoti dai doveri pastorali e perché erano troppo simili a un gioco d'azzardo: in quel periodo, infatti, per quanto assurdo possa sembrare la mossa dei pezzi era decisa dal lancio dei dadi, così da vivacizzare le partite e non far vincere sempre i più bravi, e la cosa si prestava alle scommesse. Ancora nel 1128 Bernardo di Chiaravalle interdisse la scacchiera ai Templari e una serie di concili locali del XIII secolo (particolarmente severo il Bitterrense del 1255) ribadirono la proibizione. [...] Pure San Luigi IX di Francia vietò gli scacchi nel 1254, mentre San Bernardino da Siena in una predica del 1425 riuscì a far bruciare in piazza un numero imprecisato di scacchiere. Medesimi roghi innalzò, e per due volte, il Savonarola (che pure sapeva giocare) sul finire del secolo XV. Invece un concilio messicano nel 1585 minacciò di scomunica i chierici che giocavano in pubblico. La "svolta" era però già in atto, soprattutto per opera di quattro grandi santi: Francesco Saverio, che convertì un marinaio battendolo a scacchi durante uno dei suoi viaggi missionari; Teresa d'Avila, che nel cammino di perfezione cita in dettaglio e in più punti gli scacchi (e per questo verrà proclamata nel 1944 "patrona degli scacchisti"); Francesco di Sales, che ufficialmente dichiara lecito il gioco, purché non si ecceda al punto da stancarsi troppo psichicamente; e infine il grande Carlo Borromeo, che - sorpresa! - una volta vinse in una memorabile partita notturna la dote di una monaca. [...]

    APERTURE DA PRETE: LA SPAGNOLA, LA SICILIANA, LA PONZIANI
    Fu così che primo "campione del mondo" degli scacchi divenne un vescovo, lo spagnolo Ruy Lopez de Segura, il quale nel 1560 - venuto in Italia per un conclave - sfidò e vinse tutti i più forti giocatori nazionali; al ritorno scrisse un manuale in 5 volumi, ideò la "spagnola" (una delle aperture oggi più in voga) ed ebbe da Filippo II un vitalizio come "miglior scacchista del secolo".
    Un exploit solo parzialmente ripetuto da altri ecclesiastici, come il siciliano Pietro Carrera che nel 1617 compose prima un poemetto latino e poi un trattato sugli scacchi sostenendo la "difesa siciliana", l'apertura tuttora e di gran lunga più giocata. Oppure don Domenico Ponziani, canonico a Modena, autore de Il giuoco incomparabile degli scacchi (1769). O ancora il cappellano inglese Henry Loveday, che a Delhi intorno al 1850 elaborò la composizione scacchistica nota come "problema indiano".
    Per finire [...] tuttora si contano parecchi preti giocatori: qualcuno nei tornei, qualcuno per posta; il migliore, monsignor Pierluigi Sartorelli, prima categoria nazionale, era addirittura arcivescovo e nunzio apostolico. [...]

    Nota di BastaBugie: il problema di scacchi attribuito a Carol Wojtyla (vedi immagine: la casella in alto a sinistra è a8) ha la seguente soluzione: 1. c8=C Ra3 2. Cb6 axb6 3. axb6#

    Addio Monsignor Negri

    Addio Monsignor Negri
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6859

    ADDIO MONSIGNOR NEGRI di Maurizio Crippa
    "Il tempo passa, ma non ci lascia. Il tempo passa, ma si ripropone ogni giorno di più come una cosa nuova, piena di senso e di significato. Il tempo che passa è perché il tempo passi, scusate il giro di frase, ma è proprio così". Lo aveva detto poco tempo fa, in un ultimo messaggio agli amici, perché non aveva mai perso il gusto delle parole usate bene, per andare in profondità delle cose, sfidando sempre l'intelligenza dei suoi interlocutori. "Il tempo che passa è perché il tempo di Dio passi e si affermi potente in noi la grazia di Cristo", aveva concluso, ed era il riassunto di una vita spesa per un solo ideale - "la vita divina in noi e nel mondo", per usare ancora alcune sue parole -, anche da prima di essere ordinato sacerdote: il 28 giugno 1972, dal cardinale Giovanni Colombo arcivescovo di Milano. Da prima, significa da quando a quattordici anni, nel 1955, anche lui aveva salito per la prima volta i tre gradini d'ingresso del liceo Berchet di Milano e vi aveva incontrato don Luigi Giussani, che lì era arrivato l'anno prima, incaricato della "scuola di religione" da cui sarebbe nata l'esperienza di Gioventù studentesca. Come tanti altri, Luigi Negri fu "travolto da giovane" da quell'incontro, dalle ragioni e dalla sfida alla ragione che quel brillante giovane sacerdote proponeva ai rampolli della borghesia milanese degli anni Cinquanta. Quegli interrogativi non lo abbandoneranno più: alla Cattolica studiò filosofia, la sua tesi fu sul problema della fede e della ragione in Tommaso Campanella. Nel frattempo era diventato uno degli esponenti più in vista di Gs e due anni dopo, nel 1967, varcò un altro ingresso decisivo: quello del seminario di ambrosiano di Venegono.
    Per molti ciellini della generazione appena successiva alla sua don Negri fu il primo impatto con un modo pugnace, caloroso come la sua voce a tratti un po' roca, di proporre il cristianesimo: quando fu, per molti anni, responsabile di Gioventù studentesca, la sigla che ora raggruppava gli studenti medi di Comunione e liberazione. Erano gli anni Settanta della violenza nelle strade e nelle scuole, ma già si intravvedeva il vuoto che le ideologie stavano lasciando nella vita di un'intera generazione. Negri non smetteva mai di indicare nella cultura laicista di matrice illuminista l'origine di quel disastro, e di offrire l'esperienza cristiana come la risposta a quelle domande che la politica e la storia lasciavano inevase. Vennero gli anni dell'insegnamento in Cattolica, e gli anni di Giovanni Paolo II che così spesso insisteva sul rapporto necessario tra fede e cultura: "Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta", era una frase di Papa Wojtyla che Negri aveva particolarmente cara e che ha sempre orientato anche il suo impegno episcopale: nel 2005 fu nominato vescovo di San Marino-Montefeltro, una delle ultime nomine di Giovanni Paolo II, e poi nel 2013 arcivescovo di Ferrara-Comacchio, di cui era emerito dal 2017.
    Una visione combattiva del ruolo del cristianesimo nel mondo, nella crisi dell'occidente e negli anni della "guerra di civiltà" islamista, che lo aveva spesso portato a polemizzare dentro e fuori la chiesa, nell'agone politico. Negli ultimi anni, favorite dal venir meno di ruoli ufficiali, erano arrivate anche le prese di posizione in dissenso da alcuni aspetti del pontificato di Francesco (parlò di situazioni "scismatiche") che avevano lasciato perplesso qualche vecchio compagno di strada.
    Monsignor Luigi Negri è morto l'ultimo giorno del 2021, mercoledì 5 gennaio avrà l'onore di esequie doppie: in mattinata nella Basilica di San Francesco a Ferrara, presiedute dal cardinale Matteo Zuppi, e nel pomeriggio, alle 15, nel duomo della sua Milano, dove a celebrare il rito sarà l'arcivescovo Mario Delpini.

    Nota di BastaBugie: Riccardo Cascioli nell'articolo seguente dal titolo "A Dio, monsignor Negri" ricorda l'arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, grande amico e sostenitore della Bussola.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 1° gennaio 2022:
    Se la si vede con gli occhi del mondo, può sembrare paradossale essere raggiunti dalla notizia della morte di un amico proprio mentre si sta per entrare in chiesa per cantare il Te Deum. Ma nella prospettiva della fede il momento si rivela provvidenziale per rendere grazie a Dio con più consapevolezza per il dono dell'amicizia di monsignor Luigi Negri. Amico: mi sembra la parola che meglio definisce questa figura straordinaria di vescovo che nell'amicizia con Cristo, imparata nella lunga frequentazione di don Luigi Giussani, traeva la capacità di accompagnare con paternità verso Cristo chiunque incontrasse sulla sua strada.
    Ha fatto così anche con la Bussola, un'opera che ha sempre sostenuto e accompagnato fin dall'origine e fino a quando la salute glielo ha permesso. Le sue riflessioni sulla Chiesa e sulla società hanno segnato il cammino del nostro giornale, ha guidato tutti noi a riconoscere la Provvidenza all'opera nella storia, a leggere la cronaca nella prospettiva della vita eterna, a ricentrare il compito della Chiesa nel momento della massima confusione dei pastori e disorientamento dei fedeli. Non a caso il suo modello come vescovo era il "Leone di Münster", il vescovo tedesco Clemens August Graf von Galen, che con forza e a rischio della propria vita denunciava l'imbarbarimento dei costumi portato dal nazismo e richiamava alla Legge di Dio.
    Basta scorrere gli articoli scritti in questi anni per la Bussola per ritrovare la stessa chiarezza di giudizio, la testimonianza della Presenza di Cristo in una società «impoverita e immeschinita» dalla Sua assenza. Vale davvero la pena rileggere i suoi articoli, perché i giudizi che vi sono contenuti sono più che mai attuali, un faro in questa nebbia che è calata sulla Chiesa e sulla società. Sono uno strumento che ci aiuta a permanere saldi nella Verità in un momento in cui sembra ovunque trionfare la menzogna. Anche perché monsignor Negri ha sempre dimostrato un grande amore alla Chiesa e a quel particolare pezzo di Chiesa che lo aveva generato alla fede - il movimento di Comunione e Liberazione - anche quando, negli ultimi anni, gli è costato umiliazioni e incomprensioni, a volte anche da quelli che erano stati suoi amici.
    «Noi vogliamo essere fedeli amici di Cristo perché fedeli seguaci della Chiesa, e in essa desideriamo che il nostro cammino sia un andare sempre più vicino a quel Signore che ci guida, attendendo il giorno beato e benedetto in cui potremo vederlo "come Egli è", secondo l'intuizione insuperabile dell'apostolo Paolo», scriveva in uno dei suoi ultimi articoli per la Bussola, due anni fa. Quel «giorno beato e benedetto» è dunque arrivato, e a noi è dato di proseguire la sua testimonianza secondo il compito che il Signore ci affida.
    La capacità di essere amico nel senso più profondo del termine, dicevo all'inizio. E non posso non testimoniarlo anche nella vita personale. Pur non entrando nei dettagli di questioni private, basti dire che se sono rimasto a Milano e ho potuto iniziare a fare questo mestiere, molto lo devo proprio a lui, alla sua generosità e alla sua paternità, che pure mi conosceva da poco. E più volte nel corso della mia vita la presenza e la parola di don Negri sono arrivate in modo provvidenziale. A dispetto dell'apparenza a volte burbera, e di modi a volte sopra le righe, don Luigi Negri era capace di una grande tenerezza e capacità di accoglienza che chiunque l'abbia conosciuto - e sono davvero tanti - può testimoniare.
    L'unico suo interesse era portarci a Cristo, facendocelo riconoscere nelle vicende a volte intricate della nostra vita personale. Per questo gli saremo sempre grati e ringraziamo ancora una volta Dio per averlo messo come sentinella sulla nostra strada. A Dio, monsignor Negri.