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    Il colonialismo debellato dalle mangrovie

    enJuly 08, 2023
    What was the main topic of the podcast episode?
    Summarise the key points discussed in the episode?
    Were there any notable quotes or insights from the speakers?
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    Were there any points particularly controversial or thought-provoking discussed in the episode?
    Were any current events or trending topics addressed in the episode?

    About this Episode

    Metafora di un continente, pars pro toto: la salvaguardia delle piante consente una piccola economia di ostrica e manioca, producendo così una rete di microeconomie positive. Superando in questo modo gli stereotipi dischiusi e smontati durante l'intervista a Angelo Ferrari effettuata da Ugo Barbara e Giampaolo Roidi per l'Agi, agenzia giornalistica e che si può trovare registrata qui: https://www.agi.it/estero/podcast/2023-07-07/africa-oltre-emergenze-racconto-angelo-ferrari-22152742/.

    Lo spunto è dato dalla “notiziabilità” dell'Africa secondo Amref: guerra e terrorismo... e comunque persino meno spazio negli ultimi mesi rispetto agli anni precedenti – già residuale – è stato dedicato al continente dai media mainstream, perché in realtà bisognerebbe andare a incontrare le storie per accorgersi che sono straordinarie. Ma è innanzitutto l'atteggiamento buonista che si deve mutare, in quanto è cambiato dall'altro lato l'atteggiamento africano nei confronti con l'esterno e in particolare contro il colonialismo classico – in particolare il sentimento più diffuso è astiosamente (e con ragione) antifrancese. I russi sono percepiti come non colonizzatori (come i cinesi), ma se si approfondisce la narrazione, non è la realtà; solo una forma diversa di saccheggio. Gli italiani, persino in Corno d'Africa, sono percepiti come quelli che prestano attenzione ai bisogni prima di imporre (all'americana) le presunte risposte ai problemi, nella visione occidentale, ma ultimamente l'approccio italico appare distratto nelle prassi possibili. per le carenze a livello di semplice diplomazia e scarsa conoscenza del mondo africano – proprio per questo il libro di Angelo (“Non so come andrà a finire") al centro dell'intervista è un modello di come ci si dovrebbe accostare.
    Esiste invece una sudditanza psicologica delle genti africane verso ciò che proviene da fuori? Si può parlare di tentativi di affrancamento dall’assoggettamento a potenze extracontinentali? Angelo ritiene che si possano registrare realtà che cercano di autonomizzarsi – valorizzando prodotti locali (senza farseli saccheggiare) –, superando l'atteggiamento dei bianchi che intendono imporre il loro punto di vista: a questo allude il titolo di questo podcast, ascoltatelo per capire a cosa Angelo allude...

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    Disinteresse per il conflitto nel Kivu?

    Disinteresse per il conflitto nel Kivu?


    https://ogzero.org/regione/grandi-laghi-africani/

    Un’altra delle guerre private dell’attenzione delle coscienze coloniali – sviate da minacce nucleari zariste, un genocidio perpetrato dall’unica democrazia mediorientale, rotte commerciali in mano a pirati alieni – si sta nuovamente svolgendo in Congo, alla sua periferia più ricca: nella zona dei Grandi Laghi, e in particolare si va estendendo nel Kivu e Ituri. E poi anche nel resto del corpaccione congolese? Non avendo superato dopo trent’anni il dramma delle stragi contro i tutsi, ma, accorpandola e incancrenendola, si ripropone.
    Giovanni Marco Carbone ci ha aiutato a sbrogliare l’intreccio della matassa dei rapporti tra Ruanda e Congo sullo sfondo della predazione delle risorse congolesi da parte dei tutsi del Ruanda a trent’anni dal genocidio; e questo va collocato in un’area dove la presenza di decine di milizie armate nasce dal senso di minaccia avvertito dal regime di Kagame per le presenze nella provincia di Goma di profughi e responsabili delle stragi del 1994 e contemporaneamente dei focolai di resistenza dal basso di villaggi, abbandonati dal potere centrale di Kinshasa a migliaia di chilometri e messi sotto dall’M23, la milizia filoruandese, potentissima.
    Il tutto nell’assoluta inefficienza e disinteresse del resto del mondo, con Minusco che sta ammainando bandiere e abbandona il campo, portando via i suoi 15.000 uomini. Anche l’espressione del dissenso è conculcata dal potere centrale di Tsishekedi (che si sforza di reintegrare la regione nel paese) e dalla guerra, che vede la partecipazione di molti protagonisti continentali… e alla finestra gli altri. Si rischia di assistere a una Terza guerra mondiale africana? Carbone ritiene che guerre tra nazioni africane sono sporadiche, più spesso l’escalation stessa risucchia gli stati a farsi guerra su uno stesso territorio e sempre congolese.
    Le multinazionali fanno comunque affari con chiunque, ma è complesso e tutti i protagonisti in qualche modo mettono le mani sulle risorse, ma prediligono sicurezza e stabilità e quindi non sguazzano nelle situazioni di conflitto, perché rendono difficili procurarsi forza lavoro, assicurare sicurezza alle maestranze, poter usufruire di infrastrutture funzionanti, dunque difficilmente proviene dal capitalismo e dallo sfruttamento predatorio la necessità di accendere il conflitto.
    Carbone ci richiama anche a guardare sì allo spostamento verso i porti dell’Atlantico l’attenzione, ma senza dimenticare che Kinshasa è entrata negli organismi che regolano l’Africa orientale, guardando alla regione dell’East African Community, che vede scambi proprio con l’area del Kivu (ottenendo supporto per la sicurezza, che poi è risultato irrisorio e perciò sono entrati in campo i sudafricani).

    Il cavallo di Mayotte. La via per l'Eliseo di Darmanin

    Il cavallo di Mayotte. La via per l'Eliseo di Darmanin
    https://ogzero.org/temi/governance/colonialismo/

    Quella gettata dall'ambizione presidenziale di Darmanin è una bomba ad orologeria che scaricata su Mayotte (l'isola delle Comore dove il referendum indipendentista aveva visto gli autoctoni pretendere di rimanere francesi) può scoppiare sull'Esagono e creare molti problemi ai migranti francofoni.
    Tutto sta a vedere se il grimaldello a 8000 chilometri spazzerà via un "droit du sol" (ius solis in latinorum) in vigore dal 1515, istituito da un altro Francesco I (de Valois). Darmanin nasce sarkozysta e cerca di ripercorrere i suoi passi, facendosi traghettare da ministro degli Interni all'Eliseo, risultando di destra con i contenuti di Le Pen.
    Abbiamo chiesto a Giovanni Gugg, che ha seguito per “Africa on Focus” la vicenda fin dal precedente episodio di repressione poliziesca con sgomberi e abbattimento di baracche di lamiera con lo scopo – tutto mediatico – di contrastare l'immigrazione illegale... stavolta si tratta di impedire a poche donne (rispetto alla quantità di perpere già stanziali a Mayotte da più di 2 anni) di dare alla luce "francesi" perfetti e finiti, seppure non originati da lombi pallidamente gallici. Un modo palesemente pretestuoso di individuare un'eventuale breccia nel sistema di diritti che dall'altro lato sostenevano l'idea di impero con i Territori d'Oltremare a tutti gli effetti territori del colonialismo francese... e rinunciarvi è anche un po' riconoscere che esce dalla presidenza Macron un po' ammaccata, tanto vale ottenere la distruzione dei diritti della Révolution Française.

    Goodbye Ecowas; bonjour jeune Afrique

    Goodbye Ecowas; bonjour jeune Afrique
    https://ogzero.org/regione/sahel/

    Quali progetti politicoi-economici in Africa occidentale?

    Afrika Corps è evocativo di Rommel, un’altra volpe del deserto di cui è stata presa la pelliccia; il Franc Cfa sempre meno scambiato, con i Brics che aspettano il cadavere della valuta; sgretolamento della Françafrique, che continua strenuamente a tentare di mantenere avamposti in Africa occidentale… ma due eventi stanno cambiando in una sorta di sfida che può cambiare riferimenti globali nell’area del Golfo di Guinea e del Sahel, e quindi anche interessi tutelati e sistemi politici. Da un lato si è parlato qui – giovedì 1° febbraio 2024 – con Edoardo Baldaro dell’uscita dei tre paesi ribelli dell’Ecowas (o meglio Cedeao), immaginando che il prossimo momento di confronto tra i paesi della regione che fanno parte dell’organismo africano che sta compiendo il mezzo secolo fosse uno dei due paesi più consistenti del Cedeao: le elezioni in Senegal che dovevano tenersi in questo mese e invece Macky Sall ha spostato a dicembre, dopo aver incarcerato tutti gli oppositori in un golpe parlamentare. A posteriori, dopo aver registrato l’intervento di Edoardo Baldaro ci chiediamo se l’uscita di Mali, Burkina e Niger dal Cedeao non abbiamo accelerato le operazioni del fantoccio di Parigi a Dakar per anticipare una solta nelle urne che poteva pesare sugli equilibri già così precari dell’Africa occidentale. Sappiamo che Edoardo ribadirà come ha fatto in questo podcast che non si può prescindere nel giudizio dalla considerazione dei potentati locali e di quale scelta operano in questo momento di riposizionamento e che vede i tre regimi militari lanciare segnali (di af”franca”mento) ai vicini. Bisogna però considerare ancora l’impatto sulle popolazioni: sia dell’effetto dello sfilamento dalla Cedeao a Bamako, Niamey, Ouagadougou sulle migrazioni e i movimenti transfrontalieri e sui traffici delle risorse saheliane; sia della svolta pushiste a Dakar, che forse ha avuto timore che le figure che evocano Sankara in Burkina possano trovare in Sonko un emulo, e queste figure trovano riscontro soprattutto tra i giovani di tutta la vasta area transnazionele compressa anche dal potere decennale detenuto dalle corrotte e tiranniche generazioni precedenti, compromesse con le “democrazie” occidentali, il loro orientalismo e il loro monetarismo vs. dipendenze da altri.
    Approfondiremo presto quello che sta avvenendo in Senegal.

    Un voto che non si conclude, come l’ebollizione congolese

    Un voto che non si conclude, come l’ebollizione congolese

    https://ogzero.org/regione/grandi-laghi-africani/

    Una settimana fa si sono svolte le elezioni e il giorno in cui chiudevano forse tutte le urne – e alcune erano state devastate prima dell'apertura – abbiamo registrato questo preciso e informato parere di Giovanni Gugg... eppure non si sa ancora nulla di preciso, se non alcune reazioni esasperate per i consueti brogli, le violenze della polizia... un 27 dicembre non di tutto riposo per i giochi di potere se si approfondisce il dato sugli scontri del 27.
    Le elezioni congolesi 2023 sono interessanti non tanto per il risultato scontato e che ancora a una settimana dall'apertura delle urne non si conosce, quanto perché contribuiscono a fornire il quadro delle pulsioni e delle divisioni interne ed esterne all'enorme territorio difficilmente controllabile da Kinshasa; i molti candidati sono eterogenei, ma non riescono a coagulare attorno a loro un consenso generale da intaccare il sistema di potere di Tsisekedi. Tranne a posteriori, unanimi a condannare i brogli e la organizzazione delle votazioni; questo già prima era uno dei motivi del contendere, tanto che alcuni comitati elettorali trovavano sede fuori dai confini congolesi, a dimostrazione di come attorno al corpaccio nazionale gli interessi dei vicini (Uganda, Ruanda, Kenya...) sono così invasivi da dare ospitalità a un candidato legato all'M23... Le difficoltà sono enormi e la disorganizzazione ha dato luogo a vandalismo in certe zone che sono estromesse dalla partecipazione (Ituri e Kivu, tutta la zona nordorientale con le tensioni rinfocolate da Ruanda e Uganda). E va considerato anche il ruolo regionale della Tanzania, che ha sbocchi e aperture autonome verso l'Asia che conta efunge da contraltare positivo alle difficoltà del Congo, che ha più chance scegliendo la costa atlantica, attraverso l'Angola.
    Bisogna considerare le centinaia di milizie, ma anche le intromissioni dei paesi vicini, però queste tensioni esterne si riverberano nella società interna, nella frammentazione religiosa, nel rifuggire da schieramenti dei musicisti di riferimento.
    I candidati erano 24, apparentemente grande fermento, ma senza reale entusiasmo, se non per quello che rappresenta il dietro le quinte che è il vero paese, che in un gioco di specchi restituisce una rappresentanza attraverso questi 22+2(uccisi). Compresi i gruppi alternativi de la Lucha a Goma che rappresentano davvero istanze condivise, ma distanti dalla possibilità di entrare nei giochi di potere (per fortuna, forse).

    Contenziosi non ripianabili: Mar Rosso libicizzato

    Contenziosi non ripianabili: Mar Rosso libicizzato
    https://ogzero.org/tag/sudan/

    “Sudan Tribune”, 27 novembre 2023: «Circa 7600 bambini in Sudan fuggono ogni giorno dalle loro case, sette mesi dopo lo scoppio del conflitto nel paese, secondo un’analisi di un’agenzia umanitaria. Il conflitto, ha affermato Save the Children, ha causato lo sfollamento di un ottavo dei bambini nel Sudan devastato dalla guerra. Secondo l’agenzia, dozzine di bambini sfollati hanno cercato cure urgenti a causa delle orribili violenze sessuali, delle ferite che hanno cambiato la loro vita e del grave disagio psicologico dovuto alla guerra». Questo l’incipit di un articolo che Eric Salerno ha pubblicato su “La Voce di New York”; Eric prosegue poi ricordando il suo primo viaggio in Sudan nel 1971, già devastato da una guerra civile che divideva animisti-cristiani del Sud con pulsioni secessioniste dal Nord arabofono musulmano: il suo reportage si incentrava attorno a Juba, attuale capitale del Sud Sudan, dove gli istruttori militari del Mossad che spiegavano ai giovani neri del Sud (divenuto Sud Sudan esattamente 40 anni dopo) come dovevano essere usate le armi appena consegnate per colpire gli arabi del Nord e indebolire il mondo musulmano all’epoca abbastanza coeso nella sua lotta contro Israele. Ora Israele ha stipulato gli Abrahams Accord con il Sudan e quindi è alleato di al Burhan in questa proxy war che vede contrapposto il mondo sul terreno sudanese, che va producendo una nuova libicizzazione tra un esercito che ha l’aviazione e una potenza di fuoco unica e un esercito che ha il potere sul terreno che conosce meglio.
    Il contributo di Matteo Palamidesse risulta indispensabile per dirimere la matassa delle strategie e delle spinte e alleanze che danno forma al disastro bellico in corso. La militarizzazione della società sudanese sta rendendo sempre più evidente la frammentazione tra etnie che compongono il paese: uno scenario libico dove le Forze di supporto rapido di Hemmedti controllano il Sudovest del Sudan e buona parte della capitale (il Darfur era già un territorio pieno di risorse minerarie da loro controllato, con l’appoggio di emiratini e russi, oltre alle triangolazioni di armi attraverso il confine poroso con il Ciad), l’esercito regolare controlla il Mar Rosso da Port Sudan e la parte orientale del paese.
    Lo sbocco al Mar Rosso è al centro anche di rivendicazioni etiopi (di nuovo sostenuti da Mosca) che rischiano di nuovo di innescare tensioni con l’Eritrea e le Somalie.
    Come se tutte le proxy war possibili ritrovino inneschi dispersi nei decenni tutte contemporaneamente, a costituire quella Guerra mondiale a rate, che trova i singoli pretesti in contenziosi mai sopiti: micce da accendere per creare un conflitto permanente e via via globalizzato.

    Il colonialismo debellato dalle mangrovie

    Il colonialismo debellato dalle mangrovie
    Metafora di un continente, pars pro toto: la salvaguardia delle piante consente una piccola economia di ostrica e manioca, producendo così una rete di microeconomie positive. Superando in questo modo gli stereotipi dischiusi e smontati durante l'intervista a Angelo Ferrari effettuata da Ugo Barbara e Giampaolo Roidi per l'Agi, agenzia giornalistica e che si può trovare registrata qui: https://www.agi.it/estero/podcast/2023-07-07/africa-oltre-emergenze-racconto-angelo-ferrari-22152742/.

    Lo spunto è dato dalla “notiziabilità” dell'Africa secondo Amref: guerra e terrorismo... e comunque persino meno spazio negli ultimi mesi rispetto agli anni precedenti – già residuale – è stato dedicato al continente dai media mainstream, perché in realtà bisognerebbe andare a incontrare le storie per accorgersi che sono straordinarie. Ma è innanzitutto l'atteggiamento buonista che si deve mutare, in quanto è cambiato dall'altro lato l'atteggiamento africano nei confronti con l'esterno e in particolare contro il colonialismo classico – in particolare il sentimento più diffuso è astiosamente (e con ragione) antifrancese. I russi sono percepiti come non colonizzatori (come i cinesi), ma se si approfondisce la narrazione, non è la realtà; solo una forma diversa di saccheggio. Gli italiani, persino in Corno d'Africa, sono percepiti come quelli che prestano attenzione ai bisogni prima di imporre (all'americana) le presunte risposte ai problemi, nella visione occidentale, ma ultimamente l'approccio italico appare distratto nelle prassi possibili. per le carenze a livello di semplice diplomazia e scarsa conoscenza del mondo africano – proprio per questo il libro di Angelo (“Non so come andrà a finire") al centro dell'intervista è un modello di come ci si dovrebbe accostare.
    Esiste invece una sudditanza psicologica delle genti africane verso ciò che proviene da fuori? Si può parlare di tentativi di affrancamento dall’assoggettamento a potenze extracontinentali? Angelo ritiene che si possano registrare realtà che cercano di autonomizzarsi – valorizzando prodotti locali (senza farseli saccheggiare) –, superando l'atteggiamento dei bianchi che intendono imporre il loro punto di vista: a questo allude il titolo di questo podcast, ascoltatelo per capire a cosa Angelo allude...

    Esperienze viste e vissute di un giornalista "africano"

    Esperienze viste e vissute di un giornalista "africano"
    https://ogzero.org/progetti/#nonsocomeandraafinire

    Angelo Ferrari è innanzitutto un uomo empatico. E poi è un giornalista, un inviato che si immerge nel territorio che deve raccontare. E da cui è conglobato, perché la sua provenienza da una famiglia della Milano popolare gli consente di comprendere il mondo con cui ha a che fare, che narra e che probabilmente a sua volta lo racconta... i ragazzi di strada, le giovani che si vendono per fame, ma poi ci sono anche i tanti incontri con l'Africa e gli africani; le tante possibilità di cui il continente è depredato e l'indignazione per questo saccheggio coloniale a cui è sottoposto, ma pure le tante possibilità di scambio culturale.
    In questa intervista con Federica Margaritora nella trasmissione "Buona la prima" di Radioinblu si percepisce bene la passione e la voglia di raccontare il suo rapporto con l'“africanità” e che ha trasposto nel libro "Non so come andrà a finire" intonro al quale è imbastita la trasmisisone.

    Neocolonialismo africano: la trappola dietro allo sforzo di affrancamento

    Neocolonialismo africano: la trappola dietro allo sforzo di affrancamento
    https://ogzero.org/africa-day-le-sfide-anticoloniali-sono-sempre-attuali/

    Se l’Africa ha bisogno della Cina, la Russia ha bisogno dell’Africa. E la Russia in Africa si chiama Wagner
    Volontà di affrancarsi dal colonialismo, ma senza la forza di evitare il neocolonialismo: questa un po’ la sintesi del motivo per cui si è inscenata la spedizione interafricana sul palcoscenico della diplomazia di guerra sulle sponde del Dnepr.

    La delegazione di presidenti africani organizzata con l’appoggio di Macron fin dal novembre 2022 raccoglie la crema dei più rappresentativi oligarchi e corrotti, oppressori dei loro sudditi – tutti più giovani dell’oligarchia – e impossibili da destituire, emanazioni dei governi africani, in qualche modo dipendenti da differenti potenze straniere. Questa manica di malfattori ha avuto la possibilità di incontrare i due presidenti protagonisti delle feroci offensive e controffensive della guerra sarmatica, perché sostanzialmente neutrali (più sensibili ai molti conflitti in corso nel loro continente e preoccupati da quello ucraino essenzialmente per le forniture alimentari ai paesi africani); ma fin dall’inizio – allo scalo polacco – i segnali da parte della Nato sono stati di sospetto che la cricca potesse fare da sponda alla narrazione del Cremlino. Tutto ciò è emerso con molto altro, affrontando l’argomento con Angelo Ferrari, perché attraverso un commento a quella situazione si è aperta una prateria di discorsi collegati al neocolonialismo (russo, cinese, ma anche americano, europeo… australiano!). A partire dal fatto che questa missione sembra preparatoria all’incontro al vertice tra Russia e Africa previsto a Sochi alla fine di luglio: il discorso corre subito in Mali – lo scambio tra miniere e lotta al jihad con la Wagner –, ancora più eclatante il micidiale conflitto misconosciuto in Sudan – il legame di Hemedti con la milizia di Prigozhyn (e sua cassaforte che gli consente di sfidare il Cremlino e imporre l'avvicendamento dei vertici militari). Ma poi esemplificativa del saccheggio diventa la produzione del Congo a partire dagli anni Ottanta del Diciannovesimo secolo: ogni decennio vede posto al centro un prodotto essenziale per la produzione del periodo e depredato dall’Occidente.
    Affrontando poi la questione della fine dei sussidi in Angola, Nigeria, Senegal contemporaneamente si è addivenuti alla insostenibilità economica dei sistemi-stato – e di nuovo si affaccia la ricattabilità dell’indipendenza dei paesi africani in seguito all’indotto squilibrio economico che li contraddistingue –, per poi dedicarci all’altro aspetto correlato: la demografia e una delle soluzioni proposte di nuovo dal colonialismo. Le nuove capitali edificate e progettate dal nulla; di nuovo altre capitali che non si radicano su nulla, se non su progetti che rispondono a esigenze extrafricane, come gli investimenti della Temasek di Singapore per costruire 123 nuove città in Africa.

    Mayottignon: l'isola della repressione d'oltremare

    Mayottignon: l'isola della repressione d'oltremare
    https://ogzero.org/temi/governance/neocolonialismo/

    Una formula speciale di colonialismo à la francese è quello sottilmente divisivo a cui si assiste sull’isola di Mayotte nell’arcipelago delle Comore. L’unica isola che rifiutò l’indipendenza con referendum e così è il Dipartimento francese più povero, quello d’oltremare che si trova così a essere territorio europeo nel canale del Madagascar… dunque terra promessa per l’intera Africa orientale e in particolare per i connazionali in cerca di riscatto e futuro. Lo scontro nasce qui: i mayottini salvaguardano il loro “benessere” di riflesso europeo, che in cambio manda oltremare i Crs a pestare come se fossero a una manifestazione per le pensioni e spianare baracche ai poveri disperati; per il tripudio degli “autoctoni”, che denunciano come banali leghisti nostrani l’importazione di delinquenza e sottrazione di spazi. Solita guerra tra poveri, sfruttata da Darmanin.

    Guerra civile in Sudan… con partecipazione esterna

    Guerra civile in Sudan… con partecipazione esterna
    https://ogzero.org/tag/sudan/ La prima vittima della militarizzazione dell’economia sudanese è la transizione democratica nella nazione più politicamente attiva e consapevole del continente. Quegli stessi uomini e donne che hanno animato la protesta la protesta a Khartoum in questi ultimi 5 anni, morendo a centinaia macchiando di rosso sangue le acque del Nilo Bianco e Azzurro e, già decimati dai golpisti, ora muoiono sotto le bombe dell’aviazione.
    Tutte le nazioni si candidano a dimostrare la propria forza geopolitica attraverso il successo nel comporre uno scontro tra lobbies giocato in Sudan, una proxy-war, di cui è facile ricostruire la divisione sulla scacchiera. Però il gioco è innanzitutto interno ai confini – che subito vengono messi in discussione dalle potenze locali vicine (visto che si tratta di territori in cui le nazioni e i loro limes sono stati imposti da una cultura esterna) –, questo è l’epilogo del movimento di liberazione, i cui componenti sono stati in larga parte decimati, mentre gli esponenti del regime sono fuggiti dai luoghi di contenzione dopo lo scoppio delle ostilità tra due contendenti al redde rationem in un contesto che mette il Sudan al centro e dunque i progetti, le contrapposizioni in un’atmosfera locale che strategicamente è così fondamentale da mettere in campo tutte le potenze locali. Ma è anche un territorio dove si sta rinnovando il modello, sempre più diffuso, di militarizzazione della società, ma nel caso di Khartoum è palese con i due militari golpisti che sono giunti a contendersi definitivamente il potere, concludendo la parabola iniziata il 25 ottobre 2021, quando si è smantellato il consiglio sovrano che doveva terminare la transizione dopo al-Bashir. Ognuno dei due vecchi amici – complici stragisti in Darfur – vuole la fetta di torta più grande… che poi ci siano interessi auriferi della Wagner da un lato, o gli interessi egiziani dall’altro che evidenziano l’importanza strategica della regione, è palese; come se ne avvantaggia probabilmente l’Etiopia che probabilmente vede indebolita l’opposizione alla Diga della Rinascita da parte delle nazioni a valle del Nilo.
    Lo scacchiere però è fondamentale a livello globale: infatti c’è la polarizzazione tra grandi potenze, ma si affacciano gli interessi di tutte le potenze locali; su cui si innestano i tribalismi interni al Sudan, che vedono contrapposti i clan palesemente distinti e schierati in blocco nei due campi; peraltro le zone suddivise dalla colonizzazione in nazioni differenti rendono a macchia di leopardo le presenze di comunità affini in stati diversi, rischiando la regionalizzazione del conflitto, estendendosi alle zone ahmara, o verso il lago Ciad, ma soprattutto con il coinvolgimento delle basi egiziane – alleati di Burahn – e degli Emirati, che si erano molto impegnati a sostenere i golpisti.
    Sta di fatto che il controllo dell’oro direttamente dipendente da Hemmedti – che è il vero interesse della Wagner in Sudan – è dove va ricercata la causa di questo scontro finale; ma sono innumerevoli i materiali preziosi, le connessioni territoriali, gli intrecci geopolitici legati all’importanza del Mar Rosso.
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