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    Martedì della III settimana del Tempo di Quaresima

    it-itFebruary 29, 2016
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    Were there any notable quotes or insights from the speakers?
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    About this Episode

    Il debito è condonato Pensaci bene: ti senti in debito con qualcuno? Anche questo è vivere intensamente la Quaresima. Con tuo marito o tua moglie, con tuo figlio, con tua suocera, con il collega, ti sei sempre comportato con amore, pazienza misericordia? Hai un peso sulla coscienza che cerchi di dimenticare, un peccato nascosto che tenti di seppellire? Un giudizio, un rancore, un tradimento. Non aver paura di lasciare che venga alla luce, anzi tiralo fuori tu, magari sono vent'anni che ti comprime il cuore e ti impedisce la libertà e la pace. Fallo oggi, confessalo, perché il nostro debito è condonato. Forse, come il servo malvagio siamo così presi da noi stessi che riteniamo di aver ottenuto solo una dilazione e tutti i nostri sforzi sono nervosamente diretti a raccattare in qualsiasi modo quel che dobbiamo rifondere. Abbiamo implorato clemenza e un po' di pazienza per restituire, e sorprendentemente il Signore ci ha condonato il debito, nulla più da restituire. Cancellato. E' questa l'esperienza che cambia radicalmente la vita. E' il cristianesimo. Un condannato a morte al quale gli si sono spalancate le porte della cella ed è ormai libero. Chi non ha questa esperienza vive il proprio cristianesimo senza gioia, e quindi una vita senza frutto, sciapa e immersa nella mormorazione, tutta regole, e sforzi per compierle. Leggi, e sacrifici per rispettarle. La vita come una corsa ad ostacoli, senza amore, esigendo da se stessi e dagli altri, tutti strapazzati perché non scappino dai nostri rigidi schemi, ogni "prossimo" imprigionato perché paghi ciò che crediamo ci debbano dare, così che anche noi possiamo pagare il dovuto a Dio. Sì, viviamo nello stravolgimento della relazione con Lui, non abbiamo conosciuto la gratuità del suo amore e crediamo che, per stare in pace, dobbiamo dargli quello che non abbiamo esigendolo dagli altri. Guarda le relazioni nella tua famiglia, e capirai. Accettiamolo, siamo nemici della Croce di Cristo perché scandalizzati del suo amore così umanamente "ingiusto" da giustificare ciò che noi non giustificheremmo. Ma il documento della nostra condanna è stato distrutto proprio sulla Croce del Signore. Il Suo amore ci ha graziati, senza merito. Oggi, e ogni giorno. Allora convertiamoci e lasciamoci amare sino ad accogliere il perdono per lo stesso peccato settanta volte sette, cioè infinite volte; e così saremo trasformati in misericordia che accoglie e perdona sempre, rompendo volta per volta la spirale di odio che avvelena il mondo, a casa come ovunque, per schiudere il Cielo su questa generazione.

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    Giovedì della III settimana del Tempo di Quaresima

    Giovedì della III settimana del Tempo di Quaresima
    I muti parlano il linguaggio dell'amore Quante volte ci ritroviamo senza parole. "Muti", cioè "impuri" secondo l'originale, come i rapporti prematrimoniali, dialogo di corpi incapaci di dar voce allo spirito, perché ormai soffocato nell'egoismo di chi nulla di sé ha messo in gioco, ammutolito nella menzogna di gesti che esprimono ciò che non è, un dono per sempre sfigurato dalla concupiscenza. "Muti" come tanti rapporti tra marito e moglie, separati dal solco dei giudizi che solo il perdono potrebbe colmare; ma ne sono incapaci, e allora eccoli lì a parlarsi senza capirsi, litigate senza fine, e separazioni e divorzi, e violenze e disperazione. "Muti" come i rapporti tra genitori e figli, nascosti nella falsa amicizia - le mamme amiche, i papà amici - per non affrontare con i figli il rischio del confronto, del rifiuto e della crescita attraverso l'obbedienza alle parole dell'autorità. "Muti" perché incapaci di attenzione e pazienza come tanti rapporti tra colleghi, vicini di casa, parenti, compagni di scuola, in un parossismo di giustizialismi e legalismi che strozzano le parole della misericordia. "Muti" dinanzi ai bisogni dei poveri, con il cuore chiuso nella cassaforte dell'avarizia. Ma perché siamo diventati "muti"? L'altro, con le sue incognite, il carico di precarietà e sfuggevolezza, spinge all'amore gratuito, a spiccare il volo in un cielo di cui non si conoscono le proporzioni, a dimenticare se stessi e i propri schemi. A sacrificarsi, perché l'amore è sempre segnato da una ferita, come quella sul costato di Adamo, dischiusa per dare la vita a Eva sua sposa. E' la volontà di Dio che ci ha creati diversi, "maschio e femmina", per divenire l'uno per l'altro un "palazzo" dove accogliersi e donarsi. Ma il "palazzo" è stato conquistato dal demonio, l' "uomo forte" e "bene armato" di menzogne: prima ci esalta illudendoci di poter diventare come Dio, e poi ci disprezza sbattendoci in faccia che non lo siamo diventati, spingendoci nel mutismo che ci isola dal mondo per paura di fallire ancora una volta. Con la paura della morte Satana "fa la guardia" alla nostra vita diventata ormai "il suo palazzo"; "i suoi beni sono al sicuro" perché, mentre cerchiamo di sfuggire alla morte, ci "leghiamo" a lui sempre di più. Guardiamoci intorno: di fronte alla sconfitta di una cura o a un embrione probabilmente malato, ci ritroviamo "muti", senza parole di fronte al dolore e alla sofferenza dell'innocente. Così in ogni relazione che ci presenta sacrificio, rinunce, dolore e morte. E allora uccidiamo credendo di fare il bene ed esorcizzare la morte. E' il marchio di fabbrica dell'avversario, scambiare il bene in male e viceversa, identificare Gesù con il principe dei demoni e questi con Dio. Così, nel "palazzo" occupato dal demonio, è legittimo e auspicato il male: aborto, eutanasia, divorzio, e i tanti altri omicidi nascosti nelle passioni con cui togliamo agli altri la vita perché la nostra è agli sgoccioli. Infatti, "chi non è con Cristo è contro di Lui", contro la sua immagine impressa in ogni uomo. "Chi non raccoglie" il suo amore disseminato nella storia lo "disperde", come si disperde il seme nei rapporti muti che macchiano la bellezza feconda della sessualità. Chi non è con Cristo è contro l'uomo, perché chi non raccoglie la sua immagine in ogni persona ne disperde la vita, frustrando il suo destino. Per questo siamo "muti", dispersi e soli nel "palazzo" della nostra vita, diventato ormai una tomba. La Quaresima ci aiuta a riconoscerlo, per imparare a desiderare e attendere la notte in cui Cristo, "uno, l'unico, più forte" del demonio, di nuovo distruggerà la morte che ci spaventa e dalla tomba in cui siamo precipitati risorgerà facendo di noi il suo "bottino". La Pasqua è l'opera di Dio che desta "meraviglia" in chi ha conosciuto solo la morte, perché in essa "giunge a noi il suo Regno", mentre il suo "dito" che ci ha creato ci "tocca per sanarci" e ricrearci. Sulla Croce dove l'invidia e le calunnie di chi lo identificava con "Beelzebul" lo hanno inchiodato, Cristo ha "strappato l'armatura in cui confidava" il demonio, mostrandoci che non è vero che Dio non ci ama, anzi. Tanto ci ama che non solo perdona ogni peccato, ma ci attira nella stessa intimità che unisce il Padre e il Figlio: "Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi". Con la sua morte Cristo ha riconquistato il "palazzo" da dove ha "scacciato i demoni"; con la sua resurrezione ne ha fatto il cenacolo dove Lui appare ogni giorno per "vincere" la paura e guarire i rapporti "muti" e sterili donandoci la capacità di amare in Lui oltre il peccato. Solo qui, raggiunti dalla Pasqua, i fidanzati sanno aspettare e sacrificarsi, gli sposi escono da se stessi per donarsi gratuitamente, i genitori trasmettono la fede educando con discernimento, e i figli obbediscono liberi dall'orgoglio; solo nel "Regno" ognuno è "per" il bene autentico dell'altro, lottando perché Cristo viva in lui, sapendone "raccogliere", anche tra i peccati, l'immagine originale. Dalla Pasqua nasce così la missione della Chiesa, il "bottino" di Gesù: gli schiavi liberati sono "distribuiti" nel mondo a farsi "Beelzebul", ovvero peccato, per chi giace ancora nelle tenebre. Non c'é da stupirsi e temere se chi ci è accanto traviserà i nostri gesti e le nostre parole, anzi. Quando accadrà sarà il segno che Cristo è vivo in noi, che sta lottando con satana per riconquistare con l'annuncio del Vangelo proprio chi ci perseguita.

    Mercoledì della III settimana del Tempo di Quaresima

    Mercoledì della III settimana del Tempo di Quaresima
    La vita compiuta Nulla di noi è marginale. Tutto ci è donato per essere "compiuto", “riempito trabocchevolmente” secondo il greco originale. Ogni istante è come uno yod (iota in ebraico), la più piccola lettera dell’alfabeto ebraico, ma decisiva per definire il significato di molte parole simili, fondamentale per conferire il senso compiuto alle frasi, legando il passato al futuro. La nostra vita è una raccolta di yod disseminati sul cammino di salvezza pensato e donato da Dio, una storia (il passato) che si fa presente come un grembo fecondo e gravido nell'attesa del compimento. Invece, per l'inganno dal demonio, gli yod ci appaiono come piccoli, fastidiosi e insignificanti ostacoli da evitare. E così, fiaccati dalla superbia con cui tralasciamo i particolari nei quali allenarci ad amare, nascosti nell'ipocrisia dei grandi ma effimeri slanci, ci spaventiamo e fuggiamo ogni volta che sbattiamo contro i muri issati da chi ci è accanto. Chi trascura il "precetto minimo" scivolando sulle innumerevoli occasioni di donarsi, si ritroverà con un "amore minimo", impreparato per fare fronte ai "grandi" bisogni del prossimo. Colui che, nella pretesa satanica di farsi dio e decidere cosa sia importante, "insegna agli altri" a essere sciatti e superficiali, sarà "considerato minimo nel Regno dei Cieli". In esso, infatti, è "grande" chi il mondo considera piccolo, ovvero il povero, il debole e il peccatore, il ladro e la prostituta. Questi, avendo conosciuto e accolto il "grande" amore che li ha perdonati, sono capaci di "insegnare agli altri" a non trascurare nessuna "minima" occasione per convertirsi. La superficialità si risolve sempre in un deterioramento della Verità, come quando un quadro è attaccato dal tempo: i colori si sbiadiscono, scompaiono le sfumature, anche i contrasti perdono vigore, e alla fine il dipinto è ormai diverso dall'originale. E tu, quale yod stai trascurando? Su quale dettaglio stai sorvolando? La vita è come un orologio, non puoi dimenticare di aver cura di ogni suo pezzo; basta che una minuscola coroncina si rompa, si usuri o si perda e l'orologio non funziona più. Hai per caso dimenticato di oliare qualche meccanismo e l'orologio sta dando i numeri, correndo il rischio di arrivare in ritardo all'appuntamento decisivo? Da quanto tempo non chiedi a tua figlia come va, se si sente emarginata per il suo corpo, se ha paura di mangiare? Stai tralasciando i particolari nel rapporto con la moglie senza accorgerti della complessità che questo suppone? Attento, ti stai preparando la crisi con le tue mani. Il demonio gioca sempre negli spazi stretti e apparentemente irrilevanti della quotidianità per farci perdere, giorno dopo giorno, il "grande" amore nel quale e per il quale siamo stati creati. Per questo abbiamo bisogno di un abile "restauratore", che riporti alla luce ogni particolare nascosto dall'incuria, così che il "quadro" della nostra vita torni allo splendore originale. Abbiamo bisogno di Gesù, che, "dando compimento" a tutti i precetti, "restauri" l'immagine originale dell'uomo creato da Dio. Innalzato sulla Croce ci attira tutti nel suo compiere lo Shemà, pienezza della Legge, "restaurando" così in noi la capacità di amare in ogni circostanza. Sulla Croce ha ricevuto l'aceto dei nostri peccati come l'ultimo yod necessario perché tutto sia compiuto; quindi ha reclinato il capo e, spirando, ci ha inondato del suo Spirito. Una volta liberati dai peccati ci ha riempiti trabocchevolmente della sua vita. Da quel momento, nella nostra storia non vi è più nulla da mettere tra parentesi, rifiutare e buttar via, perché in tutto, anche in una malattia incurabile, anche in un lavoro routinario, vibra l'amore "riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo". In questa Quaresima siamo chiamati a convertirci, a cambiare il modo di pensare e guardare la nostra vita, imparando a curare i dettagli riscattati dalla routine banale del peccato, senza smettere di fissarne l'insieme. Concretamente, ciò significa "compiere" la volontà di Dio che si rivela in ciascuno dei suoi "comandamenti". Questi, infatti, declinano il suo amore in ogni dettaglio dell'esistenza, abbracciando in uno sguardo di misericordia ogni millimetro della nostra vita, lavare i piatti e presiedere un consiglio di amministrazione non fa differenza, perché sia vissuta con serietà e responsabilità. Per questo, "finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno senza che tutto sia compiuto": alla fine del mondo, della vita di ogni uomo, non resterà neanche un frammento, neppure il più piccolo, senza che l'amore di Dio lo abbia raggiunto per salvarlo e dargli il compimento pensato dalla sua volontà.

    Martedì della III settimana del Tempo di Quaresima

    Martedì della III settimana del Tempo di Quaresima
    Il debito è condonato Pensaci bene: ti senti in debito con qualcuno? Anche questo è vivere intensamente la Quaresima. Con tuo marito o tua moglie, con tuo figlio, con tua suocera, con il collega, ti sei sempre comportato con amore, pazienza misericordia? Hai un peso sulla coscienza che cerchi di dimenticare, un peccato nascosto che tenti di seppellire? Un giudizio, un rancore, un tradimento. Non aver paura di lasciare che venga alla luce, anzi tiralo fuori tu, magari sono vent'anni che ti comprime il cuore e ti impedisce la libertà e la pace. Fallo oggi, confessalo, perché il nostro debito è condonato. Forse, come il servo malvagio siamo così presi da noi stessi che riteniamo di aver ottenuto solo una dilazione e tutti i nostri sforzi sono nervosamente diretti a raccattare in qualsiasi modo quel che dobbiamo rifondere. Abbiamo implorato clemenza e un po' di pazienza per restituire, e sorprendentemente il Signore ci ha condonato il debito, nulla più da restituire. Cancellato. E' questa l'esperienza che cambia radicalmente la vita. E' il cristianesimo. Un condannato a morte al quale gli si sono spalancate le porte della cella ed è ormai libero. Chi non ha questa esperienza vive il proprio cristianesimo senza gioia, e quindi una vita senza frutto, sciapa e immersa nella mormorazione, tutta regole, e sforzi per compierle. Leggi, e sacrifici per rispettarle. La vita come una corsa ad ostacoli, senza amore, esigendo da se stessi e dagli altri, tutti strapazzati perché non scappino dai nostri rigidi schemi, ogni "prossimo" imprigionato perché paghi ciò che crediamo ci debbano dare, così che anche noi possiamo pagare il dovuto a Dio. Sì, viviamo nello stravolgimento della relazione con Lui, non abbiamo conosciuto la gratuità del suo amore e crediamo che, per stare in pace, dobbiamo dargli quello che non abbiamo esigendolo dagli altri. Guarda le relazioni nella tua famiglia, e capirai. Accettiamolo, siamo nemici della Croce di Cristo perché scandalizzati del suo amore così umanamente "ingiusto" da giustificare ciò che noi non giustificheremmo. Ma il documento della nostra condanna è stato distrutto proprio sulla Croce del Signore. Il Suo amore ci ha graziati, senza merito. Oggi, e ogni giorno. Allora convertiamoci e lasciamoci amare sino ad accogliere il perdono per lo stesso peccato settanta volte sette, cioè infinite volte; e così saremo trasformati in misericordia che accoglie e perdona sempre, rompendo volta per volta la spirale di odio che avvelena il mondo, a casa come ovunque, per schiudere il Cielo su questa generazione.

    Lunedì della III settimana di Quaresima

    Lunedì della III settimana di Quaresima
    Amare e accogliere il Mistero ---------- Quel sabato nella sinagoga di Nazaret, era esplosa una bomba: Gesù, il figlio di Giuseppe il carpentiere, l'aveva lanciata nel mezzo dell'assemblea di cui aveva fatto parte tante volte; quell’uomo che tutti conoscevano aveva appena annunciato che la profezia ascoltata si era compiuta proprio in Lui, proprio in quell'oggi. Che mistero l'operare di Dio, lasciare trent'anni suo Figlio inviato per salvare l'umanità nel semplice e umile nascondimento di Nazaret, a vivere una vita normalissima, mescolata a quella dei suoi compatrioti. Un solo segno all'alba della dell'incarnazione, un annuncio segreto e serbato nel cuore della Vergine Maria. E sospetti, giudizi e dolore per quella giovane Madre. Poi più nulla, giorni uguali a quelli di ogni altro abitante di Nazaret, sino a quel sabato. Dio, infatti, ha voluto avvolgere di mistero l'identità del Figlio per svelare il mistero del cuore dell'uomo. La carne e il sangue, da soli, non possono vedere Dio. Per vederlo occorre un cuore puro. I "figli dello stesso padre" (patria deriva da padre) non lo hanno potuto comprendere, perché per il loro occhio impuro conoscere significava afferrare e possedere attraverso carne e pensiero. Accoglierlo avrebbe significato riconoscersi peccatori, bisognosi di purificazione e perdono. La vedova di Zarepta e Naaman il Siro, invece, pur essendo pagani ed estranei al Popolo di Israele, hanno visto Dio, perché l'indigenza e il bisogno ne avevano purificato il cuore. Può vedere Dio solo l'occhio purificato dal crogiuolo della sofferenza. La vera Patria di Gesù, infatti, non è la Nazaret geografica, e i "suoi" non sono quelli che vi sono nati: la Patria di Gesù è la Croce e i suoi compatrioti sono i peccatori. Per loro si è fatto peccato, con loro ha condiviso il destino di morte per trasformarlo in destino di perdono e di vita. E' questo il mistero celato in Gesù di Nazaret, il Messia sofferente. Anche noi all'apparire del mistero che avvolge la nostra vita e le persone che ci sono vicine, temiamo e ci difendiamo chiudendoci a riccio, rifiutando ciò che sfugge ai nostri criteri collaudati. Amare il mistero celato negli eventi e nell'altro è la condizione perché essi entrino a far parte di noi stessi, ci stupiscano e coinvolgano nel prodigio di cui sono profezia. L'amore per il mistero è la condizione per la castità, dei sentimenti come della carne, porta dischiusa alla purezza del cuore capace di vedere trasfigurata la realtà. Si può vivere anni accanto a una persona, alla moglie, al marito, ai figli, e non aver amato neanche per un giorno il mistero che li avvolge. Ci illudiamo di conoscere, mentre ci sforziamo di possedere nella speranza di non perdere quanto vorremmo che ci saziasse. E così ci ritroviamo a spingere l'altro sul "ciglio del monte per buttarlo nel precipizio", nell'estremo tentativo di far tacere quel mistero che bussa, tenace, alla porta del nostro cuore. L'esito di ogni possesso infatti, è l'omicidio dell'altro: moglie, marito, chiunque interpelli il nostro cuore, ci svela indigenti e inadeguati, peccatori. Il mistero racchiuso nel prossimo è una chiamata all'amore, e ne siamo sprovvisti. Abbiamo bisogno di un cuore contrito e umiliato, un cuore puro capace di vedere Dio nell'amore incarnato in suo Figlio. Paradossalmente, un cuore puro è un cuore che riconosce d'essere malato. E lì, nella realtà, riconoscere in Gesù il fratello, il compatriota che ha condiviso la nostra patria di morte. Per il nostro cuore "vedovo e lebbroso" è preparato quest'oggi nel quale Gesù ci annuncia di nuovo la Buona Notizia che il Profeta viene a compiere nella sua Patria. Vedere il Messia e l'amore di Dio nella storia e nelle persone significa dunque incamminarsi con Lui sul sentiero della Croce, sulla quale consegnargli i nostri peccati, scoprendo in essa la Patria d'amore dove, amati, impariamo ad amare.

    Mercoledì della XXXI settimana del Tempo Ordinario

    Mercoledì della XXXI settimana del Tempo Ordinario
    "Amare è anche calcolare, eccome" Avranno «calcolato» ponderatamente i rischi prima di bussare alla porta della Chiesa i pagani che abitavano l’Impero Romano. Convertirsi significava infatti andare incontro ad una morte probabile. Eppure continuavano a ripetere ai cristiani che desideravano vivere come loro. Accadde anche a quel samurai che, vedendo San Francesco Saverio rispondere con pazienza e amore a dei bambini che lo insultavano e deridevano, ne rimase così affascinato da chiedergli di diventare cristiano come lui; quello straniero, infatti, doveva avere un tesoro molto più grande dell’onore che sino ad allora era stato la ragione della sua vita. «Quello che il cristianesimo offriva ultimamente ai convertiti non era nulla di meno della loro umanità» (G. Bardy), che Dio rivelava autentica e compiuta in Cristo. Incontrandola nei cristiani diveniva naturale «odiare» tutto quello che, nella loro vita, li stava ghermendo nella menzogna. Anche a noi è giunto lo stesso annuncio. Abbiamo visto e sperimentato il suo amore che ha salvato e rinnovato la nostra vita. Ma oggi, «andando a Gesù», che cosa speriamo? Siamo come la «molta gente» che lo seguiva o desideriamo davvero essere suoi «discepoli»? Seguire il Signore significa «costruire» con Lui una «torre» come quelle che si ergevano nei campi per raccogliere e difendere il raccolto. Occorre «calcolare la spesa», che comprende ogni istante della nostra vita, e discernere i «mezzi» con cui «portare la missione a compimento», ovvero «la propria croce». Significa «portare» con Lui ciò che ci umilia e che il mondo non può accettare, per annunciare a tutti che c’é una «torre» dove Cristo ci accoglie e ci difende; essa è proprio la croce di ciascuno, dove si può vivere sereni anche nella sofferenza, perché Lui ha seminato la vita nella morte. Scendere dalla Croce è consegnare se stessi e Cristo alla «derisione» del mondo, nello scandalo che impedisce a chi ci è accanto la salvezza. Seguendo il Signore siamo chiamati anche ad «affrontare» con Lui la «guerra» per strappare al «re» nemico i prigionieri della sua menzogna. Ma, è ovvio, non possiamo combattere senza «odiarlo». Non lottiamo però con le creature, ma contro il demonio e i suoi lacci: gli affetti per «padre, madre, fratelli e sorelle» vissuti nella carne e schiacciati nei compromessi, l’idolatria del denaro, feticcio che rappresenta potere e successo. Soprattutto la nostra «propria vita», con i suoi criteri, le ragioni, i progetti. «Chi non odia» tutto questo ogni giorno, finirà con l’odiare Dio per «accordarsi» con il nemico, anche se «lontano»; le sue tentazioni, infatti, sono subdole e difficili da smascherare... Il Signore ci ha «amati sino alla fine», «odiando» perfino il suo essere Dio pur di raggiungerci laddove giacevamo lontani dal Padre. Per questo «non può essere discepolo» di Gesù chi «non rinuncia a tutti i suoi averi» per far posto al suo amore incorruttibile, libero e autentico, che attira ogni uomo nel desiderio di esserne colmato.

    Martedì della XXXI settimana del Tempo Ordinario

    Martedì della XXXI settimana del Tempo Ordinario
    "La primogenitura e l'ipocrisia" Con il battesimo la Chiesa ci ha recapitato l’«invito» del Signore alla «grande cena» preparata da sempre per noi. Ha rinnovato la «chiamata» a seguirlo svelandoci le ricchezze di quel «menù» nutrendoci alla mensa della Parola e dei sacramenti. Ma, allontanandoci stoltamente dalla «tenda» della comunità come Esaù, in caccia di affetti e denari, abbiamo dimenticato i tanti segni dell’amore di Dio disseminati nella nostra vita, perdendone il senso. «Ecco, sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?» (Gen 25,32): «esausti» e in preda alla fame, ci siamo così gettati avidamente sulle «lenticchie» del momento, rifiutando la «grande cena». Giorno dopo giorno, sguardo dopo sguardo, parola dopo parola, senza rendercene conto, la concupiscenza, il «moto dell'appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione umana e ingenera disordine nelle facoltà morali dell'uomo» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2515), ci ha strappato la gioia della primogenitura. Ormai schiavi della carne, dettiamo irragionevolmente i tempi della conversione, e organizziamo l’agenda delle priorità stabilendo disordinatamente cosa sia «bene» e «male» per noi, scambiando però l’«unica cosa buona e necessaria» per un impedimento alla felicità. Viviamo affannati per «comprare», ci consoliamo nel «vedere» e «provare» quello che crediamo di possedere, mentre ne diveniamo schiavi perché “la lenticchia è il cibo degli egiziani” (S. Agostino). Ma giunge «l’ora della cena», e allora si svelano i segreti del nostro cuore. Quando la moglie o il marito si avvicinano «invitandoci» ad amarli, ci «scusiamo» opponendo le ragioni della concupiscenza che, paradossalmente, proprio per «esserci sposati», ci impediscono di «gustare» la Grazia del matrimonio, come di qualunque altra relazione. Siamo ancora «uomini vecchi» corrotti nella ricerca del piacere. Per questo, non riconoscendo nel «servo» il volto di Cristo, «non possiamo» intuire la «beatitudine» promessa nella «chiamata» a donarsi, anticipo e profezia del banchetto celeste del quale «nessuno» schiavo «gusterà» le delizie. Ma, nonostante tutto, nella casa del Signore «c'è ancora posto», e nella sua infinita misericordia, ci «forza ad entrare». La versione greca della Bibbia traduce con questo verbo («anànkē - forzare») le tribolazioni e le sofferenze dovute a malattie, fallimenti e persecuzioni. Con esse, dunque, il Signore ci ammaestra cercandoci «per le piazze e per le vie della città», piantando la Croce «lungo le siepi» che ci imprigionano. Con essa distrugge orgoglio e stoltezza, per farci scoprire di essere «poveri, storpi, ciechi e zoppi», pagani nel cuore nonostante il battesimo. Come loro potremo allora desiderare la «grande cena» più delle lenticchie che non ci hanno sfamato. Solo chi non ha più nulla, chi «non vede» il senso della sua vita, chi vive «rattrappito» nella solitudine, chi «zoppica» incapace di tutto, si lascia «spingere» ad entrare al banchetto della misericordia. Costui è «Beato», come Giacobbe immagine dei pagani, un grumo di debolezza che ascolta e accoglie umilmente in ogni evento la «chiamata» gratuita del Signore a «prendere cibo nel Regno di Dio». -------

    2 Novembre. Commemorazione dei fedeli defunti

    2 Novembre. Commemorazione dei fedeli defunti
    "Vedere Gesù è, oggi, la vita eterna alla quale siamo chiamati" Come un fiume carsico, scorre in ogni evento e relazione della nostra vita, il desiderio di "vedere" Gesù come lo hanno contemplato i discepoli la sera di Pasqua, riconoscendolo dai segni del suo amore per loro. È nel perdono dei peccati, infatti, che possiamo "vedere" il Signore, e in Lui il volto misericordioso del Padre, origine e destino della vita di ogni uomo. Non è possibile che la mia vita finisca come sta finendo il mio matrimonio. Sono sparite le parole, non ci sono sguardi e carezze a unirci in dono, e da anni siamo due e non più una sola carne... E proprio qui appare dinanzi a noi Cristo risorto. Ci mostra le sue piaghe, e ci chiede solo di "guardarlo e credere" in Lui. Significa, semplicemente, accogliere il suo perdono capace di cancellare il peccato e donarci la sua vita che ha vinto la morte. Nella sua risurrezione può risorgere il nostro matrimonio; in Lui rivive la nostra carne, si può donare e tornare ad essere una e non più due. Esiste dunque un'altra vita, è quella di Cristo nella nostra, è il nostro matrimonio salvato. E' da qui che possiamo cominciare a "credere" e sperare il Cielo e la risurrezione nell’ultimo giorno, per noi e per i nostri cari. Li "commemoriamo" oggi guardando Cristo vivo nella nostra vita, celebrando in essa la Pasqua del Signore che attira ogni vita nel presente eterno del suo amore, dove nulla di noi andrà perduto. Si può desiderare, infatti, solo ciò che si è conosciuto.

    Sabato della XXX settimana dl Tempo Ordinario

    Sabato della XXX settimana dl Tempo Ordinario
    IL POSTO DELL'AMICO Presentandoci la vita come il funerale dei desideri, il demonio vuole indurci a non accogliere l’«invito a nozze» che il Signore ci consegna attraverso i fatti e le persone. Ogni giorno, infatti, rifiutiamo qualcosa della volontà del Padre, spinti a tentare di «occupare il suo posto» per saziare in libertà le concupiscenze. Sperperiamo la sua eredità per «esaltarci» ai «primi posti» del prestigio e dell’onore, dove ci illudiamo si realizzi la nostra esistenza. Umiliamo e strumentalizziamo gli altri, mentiamo esibendo curriculum artefatti, sino a che il pallone gonfiato dagli inganni non ci scoppia tra le mani. Precipitiamo allora all’«ultimo posto», accanto ai porci come il figlio prodigo, dove ci scopriamo «nudi» come i progenitori e, avvolti nella stessa «vergogna», ci nascondiamo dagli altri, affamati e soli. È quando il Signore, certo «più ragguardevole di noi», appare attraverso i fatti che ci umiliano, e il Padre ci dice di «lasciare a Lui il primo posto» nella vita di tutti. La superba scalata alla menzogna del primo posto ci precipita sempre nella verità dell’ultimo. Ma proprio in quel porcile immondo, seduti al «nostro posto», ci raggiunge, gratuito e del tutto inaspettato, l'amore di Dio. Egli, infatti, vede in noi il suo Figlio disceso nel sepolcro, sino al «posto» dell’«ultimo» dei peccatori. E qui, con Gesù, il Padre abbraccia anche noi, ci risolleva e ci sussurra le parole più dolci: «amico mio vieni più avanti», ecco per te l’«onore» che ho dato a mio Figlio risuscitandolo dalla morte. Il Signore ci chiama dunque a riconoscerci peccatori, ad accettare «umilmente» la nostra debolezza e a «metterci all’inferno e non disperare» (Silvano del Monte Athos) in attesa che ci «innalzi» nel suo perdono. A vivere ogni relazione nella verità che ci fa liberi davvero, senza stupirci di non essere considerati, «diminuendo» agli occhi degli altri perché il Signore «cresca» e colmi la loro vita. La Chiesa infatti è ogni giorno messa all'ultimo posto «davanti a tutti» per annunciarvi l’«onore» di Cristo risorto preparato per ogni figlio scappato di casa.
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