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    CentoParole

    «CentoParole» è un podcast del Corriere del Ticino, scritto e realizzato da Dario Campione. Non sappiamo mai cosa leggere, eppure abbiamo le librerie piene, il kindle senza memoria disponibile. Ecco quindi che Dario ci racconta un libro in pochi minuti, in pillole non amare come le medicine, ma leggere e che curano la mente e lo spirito. «Perché non possiamo giudicare un libro dalla copertina, ma dal sapore che ci lascia in bocca quando lo finiamo» (Cit.)
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    Episodes (62)

    Il ritorno dell’avvocato Guerrieri: l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, tra malinconia e speranza

    Il ritorno dell’avvocato Guerrieri: l’ultimo libro di Gianrico Carofiglio, tra malinconia e speranza
    A distanza di cinque anni da La misura del tempo, Gianrico Carofiglio porta di nuovo in scena la Bari dell’avvocato Guido Guerrieri, abbandonando momentaneamente la Milano in cui si muove l’ex magistrata Penelope Spada. L’orizzonte della notte, pubblicato da Einaudi, è il settimo episodio della serie e, parafrasando Ingmar Bergman, bene si potrebbe parlare di un autentico sigillo. Uno dei libri più belli dello scrittore pugliese.L’orizzonte della notte è un romanzo duplice: da un lato c’è il legal thriller, il cui ritmo è incessante dalla prima all’ultima pagina; da un altro lato c’è un «viaggio psicologico, un’affilata meditazione sulla perdita e sul rimpianto», sul ricordo e sulla ricerca di sé, sulle «inattese sincronie della vita» e sul bisogno di felicità.Una lingua perfetta, solida, asciutta, ricca come sempre di citazioni che non sovrastano il racconto ma lo riempiono, piuttosto, di significato, impedisce quasi al lettore di staccarsi dalle pagine di un romanzo «acuto, brillante, a tratti malinconico, che guarda però» con speranza al futuro, soprattutto nelle righe finali, in qualche modo sorprendenti, capaci quasi di rovesciare il senso di marcia tenuto sino a qual momento dall’autore.La storia gialla comincia con una telefonata che Guerrieri riceve «inaspettatamente» dall’amico libraio Ottavio, il proprietario dell’Osteria del Caffellatte, aperta dalle 10 di sera alle 6 del mattino e rifugio amatissimo dello stesso Guerrieri, il quale è solito trascorrerci le notti d’insonnia. In libreria si è momentaneamente nascosta Elvira Castell, un’amica di Ottavio. Una donna di 44 anni, bella, benestante, divorziata e titolare di una società informatica, la quale ha appena ucciso un uomo, Giovanni Petacci, compagno della sorella gemella Elena, morta per suicidio poche settimane prima.Buon ascolto!

    Papi, guerre, spie: i misteri dell'Archivio Vaticano svelati

    Papi, guerre, spie: i misteri dell'Archivio Vaticano svelati
    «Braccare un uomo-ombra non è facile: esiste anche il rischio di non raggiungerlo mai». Massimo Franco, vaticanista del Corriere della Sera, ha tallonato per anni monsignor Sergio Pagano, vescovo di Celene – una diocesi spagnola soppressa ormai dal VI secolo - ma, soprattutto, prefetto da quasi 27 anni dell’Archivio Apostolico della Santa Sede. Un inseguimento che, alla fine, si è concluso positivamente perché lo stesso Pagano, ormai prossimo a lasciare il suo incarico, ha deciso di alzare qualche velo d’ombra su una delle istituzioni più antiche del mondo. Un «giacimento sterminato di informazioni sull’umanità dei potenti e degli umili, sulle loro miserie e sui loro eroismi, sulla santità e la dannazione», lo definisce Franco; una «sorta di sconfinato Purgatorio cartaceo», nato nel 1611 per volontà di papa Paolo V, Camillo Borghese, e da sempre conosciuto come l’Archivio segreto del Vaticano.Il 22 ottobre di tre anni fa, con un motu proprio, papa Francesco ha abolito l’intestazione utilizzata per individuare l’Archivio sin dal 1646: quel «secretum» che in latino significava semplicemente «privato», «personale». L’aggettivo «segreto» ha cominciato a «essere frainteso, colorato di sfumature ambigue, perfino negative», ha scritto Francesco nel suo motu proprio. Non collima più con la Chiesa della trasparenza in cui il pontefice argentino crede fermamente. E nonostante i 450 fondi custoditi nei corridoi sotterranei costruiti sotto le mura leonine siano in realtà aperti alla consultazione degli studiosi ormai da molti decenni, Francesco ha deciso di voltare pagina e di sostituire «segreto» con «apostolico».Poco importa, suggerisce Massimo Franco. «La sensazione di una segretezza antica e come immutabile» rimane: «coltivata, protetta, vissuta come l’identità vera della potenza sacrale, benigna e insieme quasi minacciosa, della Chiesa cattolica». Per quanto l’Archivio sia «un monumento non al sapere e alla potenza della Chiesa, ma alla volontà di capire oltre le apparenze».Secretum. Papi, guerre, spie: i misteri dell'Archivio Vaticano svelati dal prefetto che lo guida da un quarto di secolo, pubblicato da Solferino, è un libro-intervista. Un genere che personalmente amo moltissimo perché in grado di coniugare la scorrevolezza con la profondità.Non potendo raccontare in dettaglio quattro secoli di storia documentale, monsignor Pagano e Massimo Franco hanno scelto di soffermarsi nei lor dialoghi su alcuni passaggi significativi della lunga e travagliata vicenda dell’Archivio. Il lettore viene così letteralmente proiettato dal prefetto e dal suo intervistatore nei corridoi in cui sono custoditi i faldoni. Entra nel «bunker», si muove lungo gli scaffali e da lì preleva fogli impensabili: una lettera di Giacomo Leopardi al nunzio apostolico nel Regno delle due Sicilie in cui il poeta di Recanati, suddito dello Stato della Chiesa, si lamenta del fatto che a Napoli gli venga chiesto di pagare le tasse; la scomunica di Napoleone Bonaparte siglata da Pio VII, il benedettino cesenate Barnaba Chiaromonti; gli atti del processo a Galileo Galilei, con l’abiura del 1633 firmata dallo scienziato pisano per salvarsi la vita e sfuggire alla prevedibile ira dell’Inquisizione.Buon ascolto!

    Alexei Navalny, l'uomo che fa paura a Putin anche da morto

    Alexei Navalny, l'uomo che fa paura a Putin anche da morto
    Un libro fantasma; una tragica e attualissima lezione di storia contemporanea; un manifesto del coraggio umano e politico. Non tacete! Discorsi sulla libertà in Russia, il piccolo volume che contiene la traduzione italiana dei quattro interventi pronunciati in Tribunale da Aleksej Navalny tra il 18 gennaio e il 20 febbraio 2021, è un po’ ciascuna di queste cose. Vale davvero la pena di leggerlo, anche se è praticamente impossibile trovarlo.
    Sì, perché Non Tacete! è un libro clandestino, rimasto in commercio, sugli scaffali delle librerie e negli store online, soltanto per 11 giorni. Uscito il 22 aprile di due anni fa, venne infatti ritirato dalla vendita su indicazione dell’editore Garzanti meno di due settimane dopo, il 3 maggio. Allora qualcuno gridò al complotto, ipotizzò addirittura un intervento del Cremlino e chiamò a raccolta in difesa della libertà di stampa. Ma dietro alla richiesta di riconsegnare le copie c’era soltanto un problema irrisolto di diritti e un pasticcio con il copyright. L’accordo verbale in base al quale era partita l’edizione italiana – accordo stipulato tra la milanese Garzanti e la bavarese Droemer Knaur, casa editrice che nell’agosto del 2021 aveva pubblicato per prima i testi di Navalny con il titolo Schweigt nicht! Reden vor Gericht – non era stato perfezionato.
    Nessun mistero, quindi. Ciò detto, i quattro discorsi di Navalny restano, resistono. Sono un documento in qualche modo accessibile e, soprattutto, una lettura impressionante, alla luce in particolare di quanto è accaduto dopo.
    Buon ascolto.

    La rivalsa degli ultimi nella Milano «cattiva» di Alessandro Robecchi e di Carlo Montessori

    La rivalsa degli ultimi nella Milano «cattiva» di Alessandro Robecchi e di Carlo Montessori
    Emerso dalla fantasia di Alessandro Robecchi, Carlo Monterossi è giunto con Pesci Piccoli al decimo capitolo di una fortunatissima sequenza di romanzi, sempre pubblicata da Sellerio nella collana della Memoria e da un paio d’anni approdata anche su Prime con una serie interpretata, tra gli altri, da Fabrizio Bentivoglio.
    «In una città come Milano, la più spietata d’Italia, le differenze tra ricchi e poveri si stanno facendo incolmabili - ha detto in un’intervista alla Stampa Robecchi - Basta sbagliare una fermata di metro e ti ritrovi in un altro mondo. La narrazione di Milano come è fatta oggi non mi piace per niente perché dimentica che non solo gli sbandati, i marginali, ma anche le persone come Teresa, con un lavoro precario e un ex marito che non paga gli alimenti, non ce la fanno ad arrivare a fine mese. Io la vedo, la gente che fatica, se ne parla troppo poco, volevo dare loro una voce».
    In questo romanzo molto più che in quelli precedenti, i contorni del giallo si sovrappongono alla denuncia politica. Buon ascolto!

    L'autobiografia di Renato Pozzetto, è proprio vero che la vita l'è bela

    L'autobiografia di Renato Pozzetto, è proprio vero che la vita l'è bela
    Malinconico senza essere nostalgico. Divertente. E per lunghi tratti surreale, in linea con il registro comico che ne ha caratterizzato gran parte della carriera di attore e di autore. L’autobiografia di Renato Pozzetto, uscita qualche giorno fa per Rizzoli, è un libro sorprendente, a partire dal titolo: Ne uccide più la gola che la sciarpa. Una storia. Lunga decine di anni e scandita in capitoli brevi, talvolta slegati tra loro, ciascuno dedicato al ricordo di un singolo episodio, di un singolo incontro.
    «È stato come ascoltare qualcosa che mi raccontava un’altra persona per la prima volta – ha spiegato Pozzetto in un’intervista al Corriere della Sera – Ho sorriso, mi sono emozionato, ho riscoperto qualcosa che si era perduto nella memoria. E ho cercato di essere onesto nel descrivere le storie preziose della mia vita».
    Un memoir intimo che, incrociando le esistenze di personaggi famosi, quando non famosissimi, diventa ovviamente storia generale: storia del Paese, storia di costume, storia di un mondo in buona parte, purtroppo, scomparso. Buon ascolto!

    Quando Elton John rimase in mutande: i 60 anni di storia dell'Ariston

    Quando Elton John rimase in mutande: i 60 anni di storia dell'Ariston
    Martedì prossimo si rinnova la liturgia laica della quale nessun italiano e ben pochi ticinesi possono fare a meno. Comincia il Festival di Sanremo, giunto quest’anno all’edizione numero 74.Potrebbe sembrare strano, ma il Festival non è mai stato argomento libresco. A parte qualche storia, anche di stampo accademico, il tempio della canzone vive soprattutto di immagini e suoni. Se paragonate all’intensità del fenomeno Sanremo, le pagine scritte che celebrano la manifestazione sono davvero poche, spesso legate ai ricordi dei singoli protagonisti o a critiche sociali e mediatiche, quasi sempre non troppo benevole.Ecco perché è da salutare positivamente la scelta dell’editore Salani di pubblicare un libro che racconta la storia del Teatro Ariston, da 47 anni la casa del Festival o, come dice l’autore, Walter Vacchino, che ne ha fatto anche il titolo del volume, Ariston. La scatola magica di Sanremo. Buon ascolto.

    Ghetto, la storia di una parola che fa paura

    Ghetto, la storia di una parola che fa paura
    Ogni anno, con l’approssimarsi del 27 gennaio – anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta nel 1945 per mano dell’Armata rossa – in tutto il mondo si pubblicano centinaia di lavori e saggi il cui obiettivo è celebrare il Giorno della memoria, ricorrenza istituita nel novembre 2005 a New York dall’Assemblea generale dell’ONU per mai dimenticare la Shoah. Tra i tanti libri degni di nota, ne ho scelto uno scritto dall’americano Daniel B. Schwartz: Ghetto. Storia di una parola, uscito nel 2019 per la Harvard University Press e adesso tradotto in italiano dall’editore milanese Hoepli. Come ricorda Adriano Prosperi nell’introduzione al volume, «l’esercizio primario dello studioso di storia dev’essere cogliere l’esatto significato delle parole che legge». E «ricostruire il viaggio» anche soltanto di una singola parola non è mai «una banale curiosità erudita». Soprattutto quando questa parola ha inciso con il fuoco la carne viva di milioni di persone innocenti.Buon ascolto.

    Guccini e Macchiavelli, un giallo per capire la storia dell'Italia di oggi

    Guccini e Macchiavelli, un giallo per capire la storia dell'Italia di oggi
    Il romanzo giallo, dice Francesco Guccini, «è un contenitore che può essere riempito in mille modi». E le vicende storiche aiutano la narrazione, le danno polpa: spesso, guardando indietro, si racconta il presente». Il cantautore modenese festeggia nel 2024 i 35 anni di attività scrittoria. Il suo primo libro, Croniche epafàniche, uscì infatti nel 1989 per Feltrinelli e fu subito chiaro a tutti la capacità dell’autore di tornare alleradici della propria storia attraverso il recupero delle parlate dialettali e delle vicende di un mondo forse superato dagli eventi ma resistente nella memoria.Al 1997, invece, risale Macaronì. Romanzo di santi e delinquenti, edito da Mondadori, il primo giallo firmato da Guccini insieme con Loriano Macchiavelli, probabilmente il più grande autore italiano di genere, lo scrittore che ha reinventato il noir proiettando nella Bologna della contestazione un personaggio unico qual è il sergente Sarti Antonio. Con Macaronì i due amici e sodali emiliani diedero vita voce e corpo al maresciallo dei carabinieri campano Benedetto Santovito, la cui esistenza letteraria si è poi dipanata in altri quattro romanzi e in vari racconti.Nel 2011, sempre dalla fantasia della coppia Guccini-Macchiavelli ha preso il volo il “Poiana”, Marco Gherardini, ispettore della Forestale più a proprio agio con la natura e gli animali che con gli uomini e chiamato, suo malgrado, in tre romanzi e in un racconto, a muoversi sui crinali degli Appennini indossando i panni dell’investigatore.Ai tanti e fedeli lettori in attesa di reincontrare Santovito o Gherardini, Guccini e Macchiavelli - con un colpo di scena inatteso ma dall’esito felicissimo - hanno invece regalato un volto nuovo: quello di Penelope Rocchi, detta Lope, giornalista 25enne chiamata a raccontare la Bologna (e l’Italia) dei primi anni Settanta. L’esperimento narrativo voluto dal cantautore e dallo scrittore emiliani ha trovato forma in Vola Golondrina, uscito alcune settimane fa per Giunti. Avrete sicuramente capito che io sono uno di quei tanti e fedeli lettori ai quali accennavo prima, motivo per cui forse il mio giudizio potrebbe non essere del tutto sereno e obiettivo. Può darsi, lo ammetto. Ma se c’è un libro che in questo momento può aiutare a capire l’Italia molto più di tante analisi sociologiche e politiche, bene quel libro è proprio Vola Golondrina.Buon ascolto!

    Siamo tutti un po’ maiali, anche se nessuno è disposto ad ammetterlo

    Siamo tutti un po’ maiali, anche se nessuno è disposto ad ammetterlo
    Il filosofo austriaco Thomas Macho è stato per oltre 20 anni professore di Storia culturale all’Università Humboldt di Berlino, ha insegnato negli atenei di Tel Aviv e di Dresda e, dal 2016, dirige il Centro internazionale di ricerca per gli studi culturali dell’Università di Vienna.Dalla prima metà degli anni ’80, da prima cioè che questa espressione venisse coniata, Macho si occupa di «Animal studies» e, in particolare, del rapporto uomo-animale. Una delle tesi che attraversano molti suoi lavori è che «per ricostruire come uomini diversi, appartenenti a epoche e culture differenti, hanno interpretato l’umano, bisogna guardare innanzitutto al modo in cui essi hanno trattato, descritto, rappresentato, cacciato, sacrificato gli animali».La storia dell’umano e la storia degli animali vanno insomma raccontate assieme, sostiene Macho, poiché sono «la storia di una convivenza che, come ogni altra, è stata segnata da conflitti e riconciliazioni».Tra questi animali-simbolo, uno in particolare è probabilmente più importante di altri: il maiale. Che, con la sua presenza – a volte discreta, a volte inquietante – attraversa tutta la storia della cultura umana, e non soltanto quella occidentale.«I maiali - scrive Macho - popolano una regione immensa del nostro immaginario, fatta di miti, fiabe, leggende, poesie, romanzi, immagini, film, progetti artistici e spettacoli teatrali, giù giù fino ai manifesti pubblicitari, alle stoviglie, ai giocattoli e a ogni sorta di oggetti». Con ogni probabilità, non esiste alcun animale che abbia suscitato e portato a espressione sentimenti, sensazioni, orizzonti simbolici e concettuali così diversi – dalla sessualità alla gola, dalla sporcizia all’innocenza, dal pericolo alla comicità, dalla fortuna alla repulsione – come il maiale.Perché ciò accade, si chiede il filosofo austriaco? La risposta è sorprendente, e potrebbe non piacere a qualcuno: «I maiali - dice Macho - sono troppo simili e insieme troppo diversi da noi […]. Sono un ottimo esempio di quello che Freud chiamava il perturbante, quel non so che di sinistro che si annida nelle pieghe dell’esistenza quotidiana e che tendiamo a rimuovere, celare, dissimulare».I maiali siamo noi. E dal rapporto instaurato con questo animale-specchio è possibile comprendere molto del nostro modo di essere.La storia narrata da Macho nel suo libro, intitolato semplicemente Il maiale e pubblicato da Marsilio, inizia 8 mila anni fa, con la domesticazione dei suini, tra i primi animali a essere allevati dalle popolazioni che abbandonavano il nomadismo privilegiando le pratiche agricoltura e la vita stanziale. I più antichi resti ossei ascrivibili a suini domestici sono stati ritrovati in Cina, negli insediamenti della cosiddetta cultura di Cishan, nello Hebei meridionale. Non è un caso, forse, che in Estremo Oriente il maiale sia sempre stato una «bestia di tutto rispetto». E che per gli astrologi cinesi, «nascere nell’anno del maiale» significhi «venire al mondo armati di tolleranza, fiducia, moralità e nobiltà d’animo» (per inciso: stiamo per uscire dall’anno della tigre; il 22 gennaio prossimo inizierà l’anno del coniglio, mentre per i nuovi nati nell’anno del maiale bisognerà aspettare il 23 gennaio 2031). Buon ascolto!

    Dalla lupara alla tastiera: come e perché le mafie si sono insediate nel Dark web

    Dalla lupara alla tastiera: come e perché le mafie si sono insediate nel Dark web
    Nonostante le cose siano cambiate da molto tempo, sono troppe le persone tuttora abituate a pensare le mafie e i mafiosi secondo stereotipi totalmente inadatti a raffigurare la realtà. Lontanissima dai cliché che la volevano soggetta ai capricci e alle scelte anche irrazionali di ignoranti ma spietati padrini, «la criminalità mafiosa contemporanea» è invece sempre di più «profondamente influenzata dalle dinamiche della globalizzazione e dall'evoluzione delle tecnologie». Vive il suo tempo. E in qualche caso lo domina, anche e soprattutto attraverso strumenti all'avanguardia: i sofisticati prodotti della rivoluzione informatica. «Le mafie nell'era moderna preferiscono le tastiere alle pistole», anche perché la Rete ha spalancato le porte di infinite possibilità d'azione», facilitando «alle organizzazioni criminali» la connessione delle loro attività con il cybercrime.
    Alcuni studiosi, tra cui Antonio Nicaso e Greta Nasi, sono tra gli autori di un prezioso volume che sistetizza anni di ricerca sui processi di mutazione informatica messi in atto dalle mafie, e in particolare dalla 'ndrangheta calabrese, in relazione alle proprie attività illegali e criminali. In questa puntata di CentoParole il nostro Dario Campione ci parla di The Dark-Web Side of Mafia. Appalti, crypto e cybercrime. Le mafie adesso: più invisibili e potenti pubblicato dall'editore milanese Zolfo.

    Auguri da CentoParole: che sia un 2024 pieno di pensieri inutili, di pensieri liberi

    Auguri da CentoParole: che sia un 2024 pieno di pensieri inutili, di pensieri liberi
    In questi giorni, La Nave di Teseo ha ripubblicato, a distanza di dieci anni dalla prima uscita per i tipi di Bompiani, L’utilità dell’inutile, il volume con cui Nuccio Ordine conquistò l’affetto e la stima dei lettori di tutta Europa. Un titolo eloquente e un libro necessario, che George Steiner definì «un piccolo capolavoro», esattamente quel tipo di saggio che va «incontro al bisogno di dare senso alla nostra cultura».Ordinario di Letteratura italiana, tra i maggiori studiosi - forse il maggiore - di Giordano Bruno, a giugno di quest’anno purtroppo Ordine se n’è andato, a 64 anni, per un improvviso malore. Ma il suo libro sull’indispensabilità dell’inutile ovviamente resta, e con esso rimane intatto il messaggio che l’intellettuale calabrese ha lanciato con il suo «manifesto sulla bellezza del sapere e sulla bellezza della vita».«Considero utile tutto ciò che ci aiuta a diventare migliori», diceva Ordine. E leggere è una delle attività irrinunciabili in questo senso. D’altronde, se non in un podcast che parla di libri, dove si dovrebbe difendere e sostenere la lettura, quella vera, quella che non si limita a pochi istanti sul telefonino, ma si sofferma a lungo sulle parole?«Non è facile - scriveva Nuccio Ordine - capire, nel nostro mondo dominato dall’homo oeconomicus, l’utilità dell’inutile e, soprattutto, l’inutilità dell’utile», vale a dire «quanti beni di consumo non necessari ci vengono venduti come indispensabili».Ecco allora germogliare «La feconda inutilità della letteratura». Troppo spesso, sottolineava Ordine, «Non abbiamo coscienza» del fatto che «la letteratura e i saperi umanistici, […] la cultura e l’istruzione costituiscono il liquido amniotico ideale in cui le idee di democrazia, di libertà, di giustizia, di laicità, di uguaglianza, di diritto alla critica, di tolleranza, di solidarietà, di bene comune, possono trovare un vigoroso sviluppo».Buon ascolto!

    800 anni e non li dimostra: storia e mito del presepe

    800 anni e non li dimostra: storia e mito del presepe
    Oggi vi racconto il libro di Marino Niola ed Elisabetta Moro Il presepe. Una storia sorprendente, pubblicato da Il Mulino. Ma vi parlo anche della lettera apostolica Admirabile signum che papa Francesco ha scritto nel 2019 per spiegare il senso e il significato assunti oggi dal presepe. Dobbiamo al biografo di san Francesco d’Assisi, Tommaso da Celano, la descrizione del primo presepe della storia, allestito nella notte di Natale del 1223: ottocento anni fa. Il santo dei poveri, di ritorno da Roma dove il 29 novembre di quello stesso anno aveva ricevuto dal Papa Onorio III la conferma della Regola dei frati minori, si fermò a Greccio, nella Valle Reatina. Dopo il viaggio in Terra Santa, le grotte di Greccio ricordarono a san Francesco, in modo particolare, il paesaggio di Betlemme. «Ed è possibile che il Poverello fosse rimasto colpito, a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, anche dai mosaici con la rappresentazione della nascita di Gesù, proprio accanto al luogo in cui si conservavano, secondo un’antica tradizione, le tavole della mangiatoia».Le fonti francescane del XIII secolo raccontano nei particolari che cosa avvenne a Greccio. Quindici giorni prima di Natale, Francesco chiamò un uomo del posto, di nome Giovanni, e lo pregò di aiutarlo nell’attuare un desiderio: «Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».Appena l’ebbe ascoltato, l’uomo iniziò subito ad approntare sul luogo designato tutto il necessario, secondo il desiderio del santo. Il 25 dicembre giunsero a Greccio molti frati da varie parti e anche uomini e donne dai casolari della zona, portando fiori e fiaccole per illuminare la scena. Arrivato, Francesco trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. E nella mangiatoia, che in latino si dice praesepium, davanti alla gente accorsa a osservare da vicino questa insolita sacra rappresentazione, fu celebrata una messa.In quella notte, a Greccio, non c’erano statuine: il primo presepe fu realizzato e vissuto dai presenti. «San Francesco - ha scritto il papa 4 anni fa nell’esortazione apostolica Admirabile signum dedicata proprio al presepe - iniziò con la semplicità quel segno che permane fino ai nostri giorni come una genuina forma della bellezza della fede. […] Stupore e meraviglia sono i due sentimenti che emozionano tutti, piccoli e grandi, davanti al presepe, che è come un Vangelo vivo che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta è che esso parli alla vita».Ha ragione, Bergoglio. Con il presepe, il mistero dell’incarnazione diventa familiare, alla portata di tutti. È come avere davanti agli occhi «Un vangelo domestico». E in fondo «è stata questa doppia natura, alta e popolare, straordinaria e ordinaria, spirituale e materiale, a fare la fortuna secolare del presepe». Al presepe, alla sua storia e ai suoi molti significati hanno dedicato un bel libro, pubblicato lo scorso anno da Il Mulino, gli antropologi napoletani Marino Niola ed Elisabetta Moro. Buon ascolto!

    Dal dito medio al vaffa, filosofia di una parola che tutto il mondo pronuncia

    Dal dito medio al vaffa, filosofia di una parola che tutto il mondo pronuncia
    «A chi non è capitato, in uno scatto di nervosismo, di gridare un sonoro vaffanculo! a qualcuno?». Credo che nessuno possa dirsi innocente. Ma quanti di noi, prima di dare fiato alla propria collera, hanno riflettuto sul significato autentico di questo insulto, sulla sua genesi e sulla sua lunghissima storia?I sociologi della comunicazione, alla pari dei benpensanti, lo classificano tra le «imprecazioni» o lo incasellano nello scaffale del turpiloquio. Ma il «fuck!», in tutte le sue declinazioni, è ormai stato sdoganato ovunque: nel cinema, nella musica popolare, nella politica, nella pubblicità. È linguaggio quotidiano. E lo è dappertutto perché, forse anche su questo non avete mai riflettuto abbastanza, «esiste una sorta di corrispettivo per ogni lingua.Ci si manda a fanculo in tutto il mondo». E lo si fa da secoli. Anzi, da almeno un paio di millenni a questa parte. Paolo Pedote, giornalista e scrittore milanese, ha pubblicato di recente con Mimesis Breve guida filosofica al vaffanculo! Swear words e gestacci osceni da Aristofane a Maurizio Cattelan. Pedote propone un viaggio attraverso film, poesie, immagini, sculture, canzoni. Una fenomenologia puntuale di un «prefabbricato linguistico» i cui dispositivi culturali molto raccontano dei nostri rapporti sociali, di genere e soprattutto di potere. Buon ascolto.

    Dagli Oscar di papà Vittorio ai cinepanettoni: la vita straordinaria di Christian De Sica

    Dagli Oscar di papà Vittorio ai cinepanettoni: la vita straordinaria di Christian De Sica
    Ho sempre pensato che i requisiti minimi per cimentarsi in un'autobiografia dovessero essere almeno tre: aver vissuto una vita che fosse interessante, possibilmente lunga e soprattutto ricca di incontri e di situazioni inconsuete. Chi scrive di sé a 30 anni, o anche meno – e gli esempi non mancano, in particolare nella società in cui si diventa personaggi troppo facilmente e senza possedere alcuna qualità – non deve certamente scarseggiare di autostima, ma è condannato a guardarsi troppo allo specchio. Senza comprendere che un certo tipo di libri ha un senso soltanto se, attraversando il tempo, è in grado di aprire uno sguardo sugli altri.Parlarsi addosso è un esercizio del tutto inutile. E noioso. Mentre raccontare il mondo attraverso le persone che lo popolano può diventare fonte di divertimento e di riflessione.Proprio il divertimento è la chiave del libro autobiografico che Christian De Sica, prossimo a compiere 73 anni – li farà il prossimo 5 gennaio – ha scritto per Sperling & Kupfer: Due o tre cose che mi sono capitate è un titolo volutamente minimalista, classicamente understatement, come si suol dire, a fronte di pagine dentro le quali scorre dall'inizio alla fine una vertiginosa passerella di stelle internazionali del grande schermo, del teatro e dello spettacolo musicale. Capitoli in cui si susseguono frangenti e circostanze talvolta ai limiti dell'incredibile.

    Dal piatto al dizionario: pizza, storia della parola italiana più usata nel mondo

    Dal piatto al dizionario: pizza, storia della parola italiana più usata nel mondo
    Di fronte a un Paese che una volta era popolato da santi, poeti e navigatori e adesso sembra essere abitato quasi esclusivamente da cuochi televisivi e assaggiatori gourmet, non può apparire strano il fatto che la gastronomia sia diventata il terreno fertile dell'espansione lessicografica. Gorgonzola, panettone, pesto, mozzarella, risotto, tiramisù sono ormai parole che, anche per un germanico, fanno parte del linguaggio comune, quotidiano. Per non parlare di spaghetti. E, ovviamente, di pizza. Un alimento simbolo, che l'Unesco nel 2017 ha addirittura inserito nel suo patrimonio immateriale. Oltre a essere, in assoluto, una delle cose più buone da mangiare, pizza è anche, probabilmente, la parola italiana universalmente più nota e utilizzata.
    Che pizza! è diventata un'espressione di uso comune. E, non a caso, pure il titolo del libro che Paolo D'Achille ha pubblicato nel 2017 con Il Mulino proprio per raccontare, in forma sintetica ma divertente, i tanti travagli semantici di un lemma ormai masticato e digerito a ogni latitudine. A questo libro Dario Campione dedica la puntata odierna di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino.

    «Sono froci, non gay»: la crociata di Vittorio Feltri contro il politicamente corretto

    «Sono froci, non gay»: la crociata di Vittorio Feltri contro il politicamente corretto
    Attraversando la Sicilia dei primi anni ’50 del Novecento, Carlo Levi scrisse di una terra dura e difficile, tanto da capire quanto da raccontare; una terra dove «Le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre». Il titolo del libro in cui furono pubblicati, qualche tempo dopo, i tre reportage di Levi divenne - per la sua indubbia efficacia e la sintesi estrema – uno dei più sfruttati modi di dire dell’italiano contemporaneo.Nove sillabe. Cui talvolta ciascuno assegna il significato che più gli fa comodo.Il dibattito sul politicamente corretto, che da anni divide gli intellettuali di ogni parte e una buona fetta dell’opinione pubblica, ha spesso come punto di partenza l’assunto involontario di Carlo Levi. «Le parole sono pietre», dicono gli uni e gli altri. Pietre che possono ferire, e quindi non dovrebbero essere più tirate. Oppure pietre sui cui poggiano le culture storiche, e perciò da difendere in modo strenuo.Al di là di alcune esagerazioni evidenti, l’affermarsi di un linguaggio «politicamente corretto» ha avuto il merito di marcare, dal punto di vista linguistico, i robusti cambiamenti sociali degli ultimi decenni. L’antropologa americana Mary Bateson, nel suo celebre studio intitolato “Comporre una vita” scrisse che «il carattere distintivo della vita contemporanea è il cambiamento. E nessun cambiamento, sia esso culturale, politico, sociale o esistenziale è immune dall’attraversare conflitti».Personalmente, credo che il lento ma progressivo consolidamento del politicamente corretto si sia addirittura giovato del conflitto innescato, in particolare, da chi si dice contrario, dato che gli argomenti a sostegno della tesi più libertaria sono sempre molto deboli, puntando tutto su una presunta volontà di imporre, attraverso la censura delle parole, l’affermazione di un pensiero unico.È questa anche la tesi di Vittorio Feltri, tra i più noti giornalisti italiani, a più riprese direttore di testate del campo conservatore nonché feroce polemista. Feltri ha dedicato l’ultimo suo libro, uscito da pochi giorni per Rizzoli, proprio al tema del linguaggio politicamente corretto. Per denunciarne le palesi incoerenze e le molte irragionevolezze.Il titolo del volume è tanto esplicito quanto volutamente urticante: Fascisti della parola. Da negro a vecchio, da frocio a zingaro, tutte le parole che il politically correct ci ha tolto di bocca. Un riepilogo perfetto del lavoro del giornalista bergamasco. Lavoro che, ha scritto Dino Messina sul Corriere della Sera, è «insieme un elogio della libertà di espressione, un attacco all’ipocrisia di chi con la censura del dizionario si illude di aver risolto i problemi che ci assillano, e una difesa della destra al governo». In buona sostanza, «un saggio per metà critica di costume e per metà pamphlet politico. Interessante da leggere e attuale, anche se non si è del tutto d’accordo» con i suoi contenuti.
    A mio parere, le premesse del ragionamento di Feltri sono condivisibili. Le conclusioni, molto meno.
    Buon ascolto.

    Shukran, storia del medico che salvò il figlio del suo nemico

    Shukran, storia del medico che salvò il figlio del suo nemico
    Shukran, in arabo, significa «grazie». E shukran è la parola che la madre del bimbo salvato da Tammam Youssef sussurra al cardiochirurgo siriano al momento del risveglio del figlio, il piccolo Mohamed. Quando la vita riprende a scorrere non soltanto nelle vene e nel corpo del bambino, ma anche nell'animo e nel cuore degli adulti che lo amano e di quelli che lo hanno salvato. Sapevo che «di fronte a me – racconta Tammam – non avrei avuto Mohamed figlio del sanguinario terrorista Yaser ma, prima di tutto, un bambino, poi un siriano e infine un uomo a cui la vita avrebbe dato la possibilità di scegliere cosa sarebbe voluto diventare. Mohamed non era più soltanto il figlio di chi aveva avuto un ruolo nell'omicidio di mio fratello, era un simbolo di una guerra atroce, crudele e priva di senso».

    Nella puntata odierna di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino, Dario Campione ci racconta Shukran. La storia vera di un medico siriano e di un bambino in guerra, di Giovanni Terzi. Pochi giorni fa, a conclusione della 18. edizione della Festa del Cinema di Roma, è stato presentato in anteprima mondiale Shukran, lungometraggio d'esordio di Pietro Malegori. Il 36.enne regista monzese ha portato sullo schermo il romanzo omonimo di Giovanni Terzi. Un progetto nato in Ticino dall'incontro dell'autore con il protagonista della vicenda poi narrata nelle pagine del libro.

    Storie di amicizia e di tradimenti: il lungo viaggio di Rocco Schiavone

    Storie di amicizia e di tradimenti: il lungo viaggio di Rocco Schiavone
    Dieci anni di vita. Tredici romanzi e tredici racconti. E venti episodi Tv di quelli che una volta, grazie al sapiente impiego di una bella parola, si definivano «sceneggiati», mentre adesso, in ossequio all’uniformazione del linguaggio e delle idee, sono diventati «serie».I numeri di Rocco Schiavone, da soli, riassumono molto (ma non tutto) del successo di un personaggio davvero diverso dagli altri: non l’ennesimo poliziotto di carta, né l’ultimo, stanco protagonista dell’interminabile stagione della letteratura di genere.
    No. I noir di Antonio Manzini, le storie che ruotano attorno al vicequestore Rocco Schiavone, sono sicuramente intrecci gialli, ma anche – e, forse, bisognerebbe dire soprattutto – il racconto della vita di ciascuno di noi. Il racconto dei sentimenti che attraversano l’esistenza di tutti, condita da dubbi o ripensamenti, da rancori, da gioie e da inevitabili dolori. Da paure, anche; da avversioni e intolleranze. E da incontri. Con persone che poi si amano o si odiano, si cercano o si perdono.
    Leggendo Rocco Schiavone si finisce, inevitabilmente, per sbattere contro qualcosa che si è già vissuto: una relazione difficile, un momento di panico, un’esplosione di entusiasmo, una battuta che si sarebbe potuta evitare. Se mi è concesso utilizzare un ossimoro, quella dipinta da Manzini è una straordinaria ordinarietà. In cui prevalgono quasi sempre il disincanto e una tagliente ironia, queste sì armi letterarie utilizzate dallo scrittore dare forza e bellezza alle sue storie.
    I romanzi e i racconti che hanno Schiavone come protagonista sono un continuum. Andrebbero letti tutti. Nell’ordine in cui sono stati scritti e pubblicati. Un filo li lega, e non è possibile tagliarlo. Non a caso, ogni uscita in libreria si traduce in una immediata corsa all’acquisto da parte dei moltissimi appassionati del vicequestore.
    L’ultimo episodio, stampato da Sellerio a breve distanza dal precedente, è la testimonianza di quanto vi ho appena detto. Conclude, di fatto, qualcosa lasciato in sospeso nelle pagine finali del penultimo romanzo e segna anche, almeno apparentemente, un punto di svolta nelle vicende di Rocco Schiavone.
    Sin dal titolo, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?, il libro si presenta come un esplicito omaggio a Ettore Scola e a un film del 1968, scritto insieme con Age & Scarpelli e interpretato da due giganti del cinema italiano, Alberto Sordi e Nino Manfredi.
    Buon ascolto.

    La vera storia di Matthew Perry, la star di Friends uccisa dal successo

    La vera storia di Matthew Perry, la star di Friends uccisa dal successo
    Un uomo che aveva, o avrebbe potuto avere, tutto, e ha lasciato che questo tutto prendesse fuoco e bruciasse, fino a prendersi la sua vita. Così si può riassumere il modo in cui Matthew Perry, il Chandler di Friends morto a 54 anni, ha descritto sé stesso nell'autobiografia Friends, amanti e la cosa terribile, pubblicato da La Nave di Teseo. A questo libro Dario Campione dedica la puntata odierna di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino.
    Friends, amanti e la cosa terribile è un testo difficile, una lucida e insieme soffocante, lunghissima confessione che Perry fa elencando in modo quasi sistematico i propri errori. Il racconto di un attore di talento che, dal lettino dello psichiatra, si mette a nudo e pur di non rinunciare alle sue battute ne assapora il retrogusto amaro.

    Nella Cina di Xi Jinping domina un Grande Fratello che nemmeno Orwell avrebbe immaginato

    Nella Cina di Xi Jinping domina un Grande Fratello che nemmeno Orwell avrebbe immaginato
    Da quasi quattro anni Wuhan è entrata nell’immaginario collettivo di tutto il mondo. Antichissimo, costruito alla confluenza del Fiume Azzurro con il fiume Han, il capoluogo della provincia dello Hubei è oggi, con i suoi undici milioni di abitanti, la più popolosa città della Cina centrale. Nel dicembre del 2019, a Wuhan sono comparsi i primi casi di Covid-19. Qui è stato generato il virus che ha cambiato la Terra. Forse in un mercato di animali vivi, forse in un laboratorio. Ormai Wuhan fa parte della storia. E inevitabilmente, anche di molta letteratura. Quella che tenta di raccontare la pandemia.Da poche settimane è in libreria per Marsilio l’ultimo noir di Qiu Xialong, uno dei più grandi interpreti del genere poliziesco in questo nostro secolo. Il dossier Wuhan è la 13.esima indagine di Chen Cao, ex ispettore capo del dipartimento di polizia di Shangai, caduto in disgrazia per le sue posizioni critiche verso il regime e promosso a direttore di un ente inutile, l’Ufficio per la Riforma del sistema giudiziario della municipalità, proprio per essere tenuto più facilmente sotto controllo.