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    Astana prepara crepe nell'asse mondiale sparigliando le polaritÃ

    itJuly 31, 2022

    About this Episode

    https://ogzero.org/studium/il-mare-di-astana-il-mediterraneo/

    Tutti contro tutti. Un panorama di rovine su cui ridisporre il nuovo ordine mondiale è l’intento del terzetto di Astana?

    La difficoltà a interpretare il quadro fosco di conflitti globali scatenati sullo scacchiere internazionale ci ha spinto a rivolgerci a Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali alla Lumsa e di Analisi strategica presso la Link Campus University. E proprio la strategia raffinata, sottile e priva di addentellati etici risulta particolarmente complessa nel momento in cui, dopo Accordi promossi e sbandierati nei loro (presunti) risultati, si assiste a svolte e rilanci, come quelli relativi all'accordo sul grano con l'Onu e la Turchia a fare da garanti, che lasciano intuire un disegno più ampio a coinvolgere gli stessi protagonisti chiamati a sancire risoluzioni effimere, ciascuno cercando di ottenere un vantaggio ulteriore e recondito dalle singole tappe della partita in corso.
    Ciò che ci ha colpito è che quelle iperattive sono le potenze che hanno animato il Processo di Astana, uno dei tasselli principali che va condizionando l'attuale sistema internazionale e che permane come asse regolatore degli equilibri tra Iran, Turchia e Russia, tanto da riproporre l'incontro a tre il 19 luglio (e poi di nuovo a Sochi il 5 agosto per nuovi dettagli), dimostrando come Mosca sia tutt'altro che isolata e che è in grado di dare le carte, spartendo aree di influenza e reciproche legittimazioni, giocando sui termini "terrorismo", "operazioni speciali", "forniture" in chiave antioccidentale (magari continuando per certi versi – militari – a farne parte, come Ankara), interpretando in chiave "locale" mediterranea la sfida alla supremazia Occidentale, individuando nell'ascesa cinese la possibilità di scalfirla, sia in forma bipolare – costituendo un cartello di regimi a liberalismo non democratico, oppure mantenendo quel multilateralismo di mani libere che il disimpegno di Trump ha agevolato non contrastandoquell’espansionismo, che fa leva anche sul sentimento anticoloniale del Sud del mondo, che trova una sponda nel l’attivismo militare russo (Wagner) e nei bisogni di nuovi approdi per la Bri cinese. Tutto ciò può preludere a un nuovo ordine globale.
    Quell'incontro a Tehran è avvenuto a qualche giorno di distanza dal viaggio mediorientale di Biden: in Israele a suffragare il potere militare di Tel Aviv (e consolidando gli accordi di Abraham, utili ad assicurare alleanze con altrettali autocrazie) e a Riad, dove l'assassino Mbs si è preso il lusso di respingere la richiesta del potente alleato di aumentare la produzione di petrolio: un ritocco fuori dagli organismi dell'Opec – di cui fa parte anche la Russia – sarebbe stata una scelta di campo. Invece lo schieramento è ancora molto liquido e sulla scacchiera le pedine non sono tuttora disposte a precise scelte di campo, come dimostra il muro eretto da entrambi (Israele e sauditi) contro il nucleare iraniano, perché percepito da ambedue come un accordo contro di loro, come nel 2015; come lo stesso grano caricato sulle 10 navi ucraine ancora in stallo a Odessa. Evidentemente non ci sono ancora rassicurazioni valide per tutti o si intravedono margini di trattativa ulteriore in ognuno di questi teatri di scontro, che rappresentano l'intera area (dallo Yemen all'Iraq): «Una parte di mondo si sta orientando diversamente e non è detto che guardino all'Occidente come prima; questa è l'incognita della guerra della Russia: dimostrare che il sistema occidentale che dal 1945 regola il mondo può essere bypassato», chiosa Bressan. E questo si ottiene anche riorientando l'intera economia russa su altri mercati – disponibili e pronti ad assorbire merci sotto embargo –, inficiando sanzioni che si dimostrano inefficaci, come dimostrato dal sistema di isolamento dell'economia iraniana, che non ha mai prodotto risultati.
    E da quel porto sul mar Nero con il suo carico di cereali abbiamo cominciato a seguire il ragionamento di Matteo Bressan, che ha ripercorso il format di Astana e le sue soluzioni, che propongono per il futuro una riedizione del passato neo-ottomano (curdi, libici e armeni hanno cominciato ad accorgersene) e neozarista, mentre la mezzaluna sciita si trova alle prese con lo stallo iracheno, il tracollo libanese, lo scacco Jcpoa (accordi che non possono rimanere soltanto meramente tecnici, ma devono venire composti dalle diplomazie); un iter che consente a Erdoğan di presentarsi come mediatore, non avendo abbandonato il campo Nato, ma essendo centrale in questa spartizione di influenze. Il capolavoro di questo processo è rappresentato dall'accordo sul grano, perché a tutti gli effetti vede Turchia e Russia decidere come procedere, come era successo in Artsakh (https://ogzero.org/tag/nagorno-karabakh/), «tagliando fuori tutto il resto del mondo».
    Il dubbio che abbiamo sottoposto a Bressan è che si tenda a risolvere la disputa sugli equilibri mondiali in senso non più unipolare tentando da parte delle potenze autocratiche diversamente liberaliste di comporre il dissidio una volta conseguiti i risultati locali minimi, oppure invece procedere a innescare una vera guerra globale che finirebbe con il coinvolgere anche il comparto indopacifico (reale interesse americano che spiega il disimpegno mediorientale all'origine delle spallate di ogni singola potenza locale), stravolgendo il mondo che abbiamo imparato a conoscere dal 1945.

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    Analizzare ordigni connessi alle strategie geomilitari

    Analizzare ordigni connessi alle strategie geomilitari
    Analizzare ordigni e strategie militari per districarsi nel ginepraio della propaganda

    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    A partire dallo studio delle armi messe in campo si può risalire non solo alle strategie belliche, ma pure agli obiettivi reali dell’operazione militare in senso geopolitico? E nel caso delle guerre in corso è possibile ricostruire e dunque prevedere dal tipo di ordigni e di mezzi di guerra utilizzati perché si è giunti a questo punto e come evolverà?
    Francesco Dall’Aglio, esperto di Europa orientale e di questioni strategico militari, ci aiuta a districarci nelle molte verità artefatte della guerra Ucraina a cominciare dal tipo di armi utilizzate diretta conseguenza della strategia militare adottata. Dapprima sono in campo armi definite difensive, definizione avventata per strumenti di morte, quali armi anticarro e armi antiaeree supponeva una strategia di contenimento da parte dell’esercito Ucraino e degli strateghi Nato.
    Con l’annuncio in pompa magna della fallita offensiva di primavera cambia la natura delle armi inviate: carri armati, veicoli trasporto truppe con lo scopo di sostenere l’auspicato avanzamento dell’esercito ucraino. Il congelamento del fronte ha generato una richiesta di utilizzo di droni e artiglieria. I droni iraniani Shahed, facili da usare, economici; “suicidi”, in quanto destinati a colpire bersagli a terra. Fanno la concorrenza ai droni turchi Bayraktar. Sul campo sono presenti anche missili ipersonici russi contrapposti al sistema di difesa Patriot americano… la sperimentazione sul campo diventa un’opportunità commerciale significativa per l’industria degli armamenti.
    Per esempio: Francesco descrive nel suo canale telegram “War Room” la foto che abbiamo adottato in copertina, commentando «qualcuno deve essersi chiesto perché non attaccare una testata termobarica TBG-7V a un drone e mandarla a schiantarsi sulle trincee ucraine, a distanza ben maggiore dei 500 metri scarsi che il lanciarazzi garantisce (non sono le bombe termobariche che lanciano gli aerei ma quelle più piccole che si lanciano con gli rpg - qui la scheda tecnica:https://roe.ru/eng/catalog/land-forces/strelkovoe-oruzhie/grenade-launchers/tbg-7v/). La domanda deve aver trovato risposta positiva e questo è il risultato».
    Un approccio particolarmente efficace per descrivere pragmaticamente conflitti e rivelare intenti geopolitici, spesso inconfessabili.

    Scardinare con uno “scatto” la difesa del consenso al potere

    Scardinare con uno “scatto” la difesa del consenso al potere
    Nonostante il potere.

    https://artspaces.kunstmatrix.com/en/exhibition/12198946/wars-2023-terza-edizione
    Ed è soprattutto il potere democratico, paradossalmente, ad avere bisogno di censurare il fotogiornalismo di guerra.
    E allora abbiamo colto l’occasione per cercare di dare il giusto rilievo al lavoro dei fotoreporter, “gettando uno sguardo” al Premio internazionale Wars - War and Revolutionary Stories a cura dell’“Atlante delle Guerre”; ma anche per fare due chiacchiere con Raffaele Crocco, direttore responsabile e curatore della mostra insieme a Fabio Bucciarelli, per toccare alcuni temi e questioni collegate al complesso e coraggioso occhio dei reporter di Guerra e Migrazione – che infatti si può definire “Guerra alla povertà”: dalla visibilità che deve produrre uno sforzo enorme per superare l’occupazione dell’immaginario dell’ipertrofica produzione di immagini di guerra a sostegno della narrazione di potere, alla “partecipazione” di chi sceglie l’inquadratura e la luce, chi non documenta soltanto la situazione di cui è testimone, ma vive nella Storia insieme ai suoi soggetti.
    Il premio è andato a Sigfrid Modola per un reportage da una sanguinosa guerra dimenticata, quella del Myanmar; ma anche Federico Rios ha ottenuto un riconoscimento con un bel lavoro sul cammino al Darien Gap, lo strenuo passaggio dei migranti che faticosamente attraversano infinite frontiere con la determinazione della disperazione; e non poteva venire dimenticato Santi Palacios, che documenta gli effetti stranianti della strage di Bucha, a completare il terzetto di finalisti. Tre momenti che non a caso riassumono la geopolitica di questa epoca, in cui il sistema mediatico ha preso le misure al grande rivoluzionario lavoro dei freelance che aveva saputo con pochi scatti risvegliare la coscienza politica mondiale al tempo della Guerra nel Vietnam e ora avrebbe bisogno di accedere a molti canali, o che da molte segnalazioni si confluisse sul lavoro di questi 120 partecipanti alla terza edizione di Wars, per toccare le menti distratte da innumerevoli immagini concentrate altrove.
    Si coglie la composizione quasi artistica dello scatto fotografico, ma si rileva anche l’impossibilità di ottenere un distacco da ciò che si vede, perché significherebbe rinunciare alla propria umanità, pressata dalla ferocia delle 31 guerre in corso in questo momento, di cui non si darebbe nemmeno conto se non per il lavoro di questi obiettivi che narrano i tanti civili uccisi, senza contare i molti costretti a indossare divise, per andare a morirci dentro.

    Riconvertire la longa manus mercenaria... prima che te la morda

    Riconvertire la longa manus mercenaria... prima che te la morda
    https://ogzero.org/tag/wagner/

    Abbiamo interpellato Stefano Ruzza, perché la definizione di Private military and security company contiene aspetti che nella relazione tra Cremlino e Wagner non erano soddisfatti fin dall’inizio e, con l’aumento della concentrazione di potere e risorse in quel centro di potere che controllava la Wagner (costituita di gruppi immobiliari, catering, editoria…), il rapporto è ancor più mutato, deteriorandosi sia per gli interessi del committente che differivano ormai dalle ambizioni del gruppo rappresentato da Prigozhin, sia perché la vera forma di contratto stipulato tra le parti non era in realtà quello che intercorre in genere tra contractors ed enti che ne richiedono i servizi: nelle intenzioni di Putin la Wagner non era altro che un apparato militare che svolgeva i lavori sporchi che un esercito regolare non può assolvere, in particolare utile per proxy war – come quella siriana; o interventi di affiancamento a paesi in difficoltà con jihad o rivolte – come in Mali e Burkina; o guerre asimmetriche – come in Sudan, dove i paramilitari avevano già operato una scelta politica di passare armi e bagagli ai ribelli di Hemedti. Sicuramente le potenzialità di una Pmsc sono meno efficaci, o pericolosamente centrali, nei casi di guerre guerreggiate come in Ucraina.
    In realtà un Gruppo ibrido come quello in cui si è trasformato Wagner in seguito alle tante risorse drenate nelle molteplici attività ora non è più funzionale ai bisogni del Cremlino e quindi andava integrato nell’Armata russa, oppure limitato alle operazioni africano e perso per perso... non gli è ancora andata poi così male, a meno che le purghe stiano per scaricarsi, oppure l'analisi deve essere più complessa e attendere che si veda in che modo verrà smembrata la compagnia... perciò la parola va a Stefano Ruzza.

    Lustrare le armi per promuovere la guerra

    Lustrare le armi per promuovere la guerra
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    Il cartello delle armi collauda localmente, crea occasioni di smercio e smaltimento su larga scala, allestisce show-room di distruzione di massa, condiziona attraverso nazionalismo, saccheggio di risorse, settarismo religioso e promozione di risorse.
    Agisce esattamente come una qualunque altra filiera di prodotto: cercando e individuando mercati da penetrare, un’analisi seguita da una forte campagna di marketing (magari aiutandosi con un po’ di terrorismo, qualche milizia opportunamente armata, leader spregiudicati o ispirati da fedi fanatiche), investimenti e promozioni di prodotti in concorrenza tra loro –in territori volta per volta destabilizzati e attraversati dalla guerra… fomentata dalla presenza delle armi studiate appositamente per quel tipo di guerra.
    Dunque “la guerra viene con le armi”, come dice Elisa Gianni nel podcast della trasmissione del 3 aprile di “Rights Now” di Radio Popolare di Milano, citando il dossier da cui OGzero ha iniziato a monitorare per un anno lo smercio di ordigni e utensili bellici… dopo la conclusione di quel dossier con un libro collettaneo (2023:Orizzonti di guerra) possiamo dire che ormai la guerra non è mai stata così diffusa capillarmente: la filiera delle armi ha fatto un ottimo lavoro, non tralasciando alcuno spazio dell’”orbe terraqueo” (citazione dotta, desunta da una premier il cui ministro della Difesa fa di mestiere il trafficante) dove andare a insinuare il bisogno di riarmo. Non si tratta più di seguire le armi per prevedere dove sarà la guerra, ma di capire per ciascun’area che razza di contrasto armato sta per esprimere la conseguenza della tempesta seminata attraverso il repertorio di arnesi di guerra esportati nei singoli scacchieri internazionali. La guerra globale tra le richieste autocratiche di multilateralismo provenienti dall’Oriente e la pervicace supremazia monocratica atlantista dall’altro, questo l’effetto del bisogno di… piazzare armi da parte delle più importanti industrie della filiera delle armi; che agisce nello stesso modo in cui si presentava un secolo fa e come ha documentato bene nel libro Eric Salerno commentando un articolo della rivista “Fortune” del 1934.
    Ma rimane una speranza – che era quella di Fabrizio De Andrè, anche se nella canzone Girotondo risulta fallace – che è quella della foto in copertina: il concerto a Tel Aviv dove russi, bielorussi, ucraini tutti in coro mandano affanculo la guerra.

    La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
    la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
    Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
    giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà.

    Arms and the Men

    Arms and the Men
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    Una disamina quella di Eric Salerno, impegnato in un dialogo durante la “Domenica dei libri” con Roberto Festa sulle frequenze di Radio Popolare, che mette al centro la lobby potentissima degli armieri da un secolo a questa parte centrale nell’esplosione di conflitti e che ha segnato il “Secolo breve”. Lo spunto nasce dai suoi due saggi ospitati nella raccolta di OGzero intitolata 2023: Orizzonti di guerra, in particolare quello che riprende un articolo di “Fortune” del 1934 che conclude la rassegna e inizia l’intervista.
    Uno degli aspetti del libro è quello che descrive lo strapotere dei settori militari e industriali sulle scelte politiche, che condizionano qualsiasi forma di esercizio del potere, sia esso democratico o autocratico o frutto della convergenza degli interessi delle oligarchie ideologiche o religiose, come per il secondo saggio di Eric, che si occupa dell’uso di Tsahal dei test delle armi sui palestinesi come garanzia nelle vendite di ordigni all’estero.
    La discussione prosegue su temi centrali del mercato armiero: il coinvolgimento del racconto mediatico nel divulgare i bisogni dell’industria e le necessità del campo di battaglia, lo smaltimento degli arsenali, la creazione di sempre nuovi nemici a cui vendere le armi, l’intento di «mantenere l’Europa in costante stato di stress», come dice l’estensore dell’articolo di “Fortune” (Eric Francis Hodgins) che chiude il libro da cui Festa e Salerno hanno preso spunto… arrivando a evocare poi la figura di “Ike” Eisenhower, come scritto nell’intervento di Eric nel volume.
    La chiosa dell’intervista si occupa dell’altro saggio di Eric inserito in 2023: Orizzonti di guerra è dedicato a Israele e coglie nell’incipit il cuore del discorso: il cliente vuole essere certo che il prodotto funzioni e i gioielli micidiali che Israele vende sono testati; e la spirale “virtuosa” per i Signori della Guerra si innesca con la vendita degli americani ai paesi arabi, provocando la spinta di Israele all’innovazione e alla costante supremazia e sofisticazione dei prodotti a disposizione di Tsahal.

    La logistica della filiera delle armi

    La logistica della filiera delle armi

    https://ogzero.org/studium/7813/#yemen

    La consapevolezza di come è strutturato e a quali interessi oltreatlantico rispondono i flussi di armi che transitano nei nostri porti è un dato impossibile da ottenere nella sua interezza, ma un costante monitoraggio attraverso accessi a dati paralleli, a segnalazioni estemporanee, incrocio di dati, messa in relazione con eventi coperti dalla stampa internazionale... consente di ricostruire i passaggi e le strategie che sottendono alla produzione, alla logistica, ai modi di aggirare embarghi per zone di guerra, triangolazioni e flotte di traghetti Ro.Ro in costante movimento a rifornire di armi i belligeranti e a preparare le prossime battaglie, destinate ad "assorbire" la produzione di ogni tipo di macchina da guerra. Proprio attraverso queste prassi scientifiche Carlo Tombola ha impostato il suo studio e la sua azione si esprime anche nella partecipazione e ispirazione per https://www.weaponwatch.net, perciò abbiamo cominciato un dialogo che si prevede lungo, volto a illustrare come si può raccogliere, divulgare, contrastare almeno in parte il business che fa di intere popolazioni vittime del profitto che innesca i conflitti.
    Questo primo incontro si è svolto attorno a due fulcri: la lotta dei portali inserita nella filiera mondiale del trasporto marittimo di armi (il 25 febbraio ci sarà una grande manifestazione a Genova contro le armi) e le caratteristiche dell'industria pesante – apparentemente – italiana.

    Dual use militarista: riarmo drogato e industria bellica

    Dual use militarista: riarmo drogato e industria bellica
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/
    L’industria degli armamenti europei è al centro del dibattito per le pretese ucraine di vincere armi esiziali per sgominare l’avversario, allargando il conflitto al mondo. Ma le armi europee e occidentali in generale raggiungono anche altri stati belligeranti e autocrati che opprimono le loro stesse genti, oltre all’idrovora questuante Zelensky, che ha il chiaro intento di tirare dentro alla guerra l’Europa, cominciando dalla Germania.
    Prendendo spunto da un articolo di Alessandro De Pascale comparso su “il manifesto” (https://ilmanifesto.it/myanmar-ora-i-generali-si-fanno-le-armi-in-casa) a due anni dal golpe sanguinario dei generali birmani abbiamo percorso un viaggio alternativo nella produzione, diffusione, traffico di armi e nell’aggiramento dei loro embarghi. La denuncia che ha dato la stura a questo percorso tortuoso che abbiamo svolto in questi 24 minuti con Alessandro riguarda l’approvvigionamento da parte di produttori di armi (europei, americani, cinesi, russi e ucraini, spesso statali o a partecipazione statale) di macchine, software, particolari tecnologici, ricambi, componenti da assemblare in loco che consentono alla giunta di Naypyidaw di costruirsi le armi per uccidere gli oppositori (le stesse cartucce che due anni fa la ditta italiana Cheddite aveva fornito a Tatmadaw si trovano ora nei bossoli dei basij iraniani sui giovani in rivolta). La ciliegina evidenziata nel rapporto (Fatal Business) a cui fa riferimento l’articolo è che non esiste industria bellica in Birmania al di fuori dell’esercito stesso.
    Da quel crogiuolo birmano di armi provenienti da tutto il mondo in particolare dalla Cina – ma con la connivenza di tutti i produttori di morte mondiali (l’Italia del ministro della Difesa mercante d’armi tra i primi) – il discorso di Alessandro si allarga ai beni dual use che aggirano divieti e avviano triangolazioni (e questo ci porta in Cina, India e all’onnipresente industria militare turca), che vedono sempre in primo piano l’importanza di luoghi topici, essenziali per la loro collocazione come Singapore e Taiwan, dove in un altro rapporto si trova denunciata la presenza di tecnici europei che curano la manutenzione dei macchinari da rimandare in Myanmar. Un sistema che vale per tutte i regimi (Egitto, Sudan, Etiopia, Iran…) in cui i militari hanno una rilevanza enorme all’interno di una società da loro interpretata e dove l’economia è controllata direttamente da loro. Un esempio eclatante è lo scivolamento nella dittatura militare dello Stato d’Israele, dove tutte le scelte sono influenzate da Tzahal; come vale per una democratura oligarchica quale quella russa.
    Un altro spunto di discussione ci viene dato da un articolo dell’Atlante delle guerre ispirato dal Centro studi strategici statunitense che simula un attacco di Pechino a Taipei: il fatto che ci perdano tutti più che risultare un deterrente per guerrafondai incalliti, fa immaginare come nella chiosa dell’articolo di Emanuele Giordana (https://www.atlanteguerre.it/war-games-la-guerra-sotto-traccia-per-taiwan/) che più che dei “wargame” come “The First Battle of the Next War” (un giochino che nella realtà va avanti da tempo con i sorvoli degli stormi del Pla, o le esercitazioni navali nel mar cinese meridionale) si dovrebbero implementare simulazioni di “diplomaticgame”, e invece il responso è stato mandare più armi a Taiwan, innescando di nuovo un’escalation che può fare piacere solo all’industria bellica. Un riarmo che è invece il panorama globale che nell’area vede nel Giappone un altro protagonista che ha operato enormi stanziamenti (https://ogzero.org/studium/la-guerra-viene-con-le-armi-lo-spaccio-ad-agosto/#japan), cambiato la costituzione (ex pacifista), acquisito armi, partecipato a esercitazioni (https://ogzero.org/studium/7813/#nihon).
    Anche il Covid ha avuto un ruolo nella militarizzazione della società, come lo svuotamento degli arsenali di mezzo mondo esauriti nella quantità di fuoco sparato nella guerra ucraina ha prodotto nuovi problemi, perché le aziende non riescono a stare dietro alla richiesta, pur producendo a pieno ritmo; ed è un business di stato quello delle armi. Vendute a regimi feroci e sanguinari, anche e soprattutto da aziende italiane, che in modo anticostituzionale – pur essendo spesso a partecipazione statale – ripudiano a loro modo la guerra.
    Chiudiamo le suggestioni legate alle armi con un ultimo articolo, firmato da Alessandro sull’uso dei droni da parte dei narcos (https://www.atlanteguerre.it/la-guerra-coi-droni-dei-narcos-messicani/), macchine usate a scopo offensivo per bombardare zone, ma anche – un nuovo dual use – per trasportare droga, le stesse usate ai tempi dei tagliagole daesh, completando il ciclo con l’assunzione di droghe per effettuare efferati massacri come quelli che i droni riescono a fare se caricati di munizioni e ordigni letali. E che ancora vengono utilizzati in Siria, il più nuovo narcostato del mondo sia per il trasporto del Captagon che per bombardare civili (https://droghe.aduc.it/articolo/captagon+ha+reso+siria+piu+nuovo+narco+stato+mondo_35484.php).

    Qatar-washing: oleum et circenses

    Qatar-washing: oleum et circenses
    Con Alberto Negri scrutiamo in che modo il Qatar abbia assunto un ruolo eminente nell’area, nonostante i molti vicini ostili e le evidenti simpatie per i Fratelli musulmani (in un momento di grandi difficoltà per l’Iran), e si candidi a snodo strategicamente importante, sfruttando l’ipocrisia occidentale, che finge di additare i diritti umani calpestati per poi farsi bastare pochi appalti, alcuni miliardi in cambio di armi (in preparazione di quale guerra, probabilmente contro il mondo occidentale, non si sa ancora; per il momento si assiste a milizie mercenarie braccio molto ben armato dei vari emirati) per vedere offuscata la vista sulla condizione femminile, sulle esecuzioni sommarie, sui morti di schiavitù nella costruzione degli stadi mondiali (pagati con denaro europeo, viste le partecipazioni qatarine).
    Abbiamo preso spunto da un articolo scritto da @negrialbe per "il manifesto", https://ilmanifesto.it/in-europa-e-in-italia-siamo-tutti-qatarini, riassunto in alcuni spezzoni dell'eloquio del reporter, che ci ricorda in che modo hanno agito gli al-Thani: «Hanno esportato il terrorismo a casa degli altri e usato i quattrini per mandare i terroristi negli altri paesi arabi, ma non si è mai sentita alcuna campagna mediatica contro i paesi del Golfo… ospitano due dei più grossi contingenti militari nel proprio territorio: uno americano e uno turco… rappresentano preziosi investimenti nell’immobiliare, nel settore bancario-assicurativo, nel lusso, nella grande distribuzione in Europa...»
    Un segnale di quanto i qatarini siano ormai potenti e l’organizzazione dei mondiali non sia da leggere come rampa di lancio, ma come esibizione di potenza acquisita, è il fatto che nella questione della corruzione lobbystica al parlamento europeo non compaia nemmeno un nome di qatarino.
    https://ogzero.org/regione/golfo-persico/

    Uno sguardo radioattivo dall’interno del nucleo

    Uno sguardo radioattivo dall’interno del nucleo
    https://ogzero.org/tag/jcpoa/
    Il nucleare è sempre stato al centro del dibattito geopolitico per motivi svariati in epoche diverse, prima della guerra in Ucraina si ragionava del superamento del carbon-fossile e l’alternativa alle fonti rinnovabili, per taluni più inquinanti per il depauperamento della terra, se non si procedeva a innescare la decrescita, poteva essere il ritorno alla rincorsa nucleare; con le conseguenze di approvvigionamento energetico che ha comportato l’invasione dell’Ucraina (che tra gli altri ha visto al centro dei timori la sorte della centrale di Zaporizhzhia) molti stati sono tornati a riattivare centrali nucleari, tra queste la Germania che in questi giorni ha rinunciato al programmato spegnimento definitivo delle sue 3 centrali, o la Francia che non ha mai abbandonato la scelta nucleare (e si è trovata proprio in questo frangente bellico con molte in difficoltà e in manutenzione) e sta impiantando nel Sud della Francia Iter – promosso come un nuovo sole in Bouches-du-Rhône; ma anche il gigante cinese ha in progetto 150 nuove centrali entro il 2040, e pure la piccola Slovacchia intraprende la strada del nucleare; e persino il Giappone, dopo la pericolosa impreparazione dimostrata a Fukushima, sta tornando all’energia nucleare.
    Three Miles Island, Chernobyl. Fukushima… ultima piccola fuga radioattiva di cui non si è parlato in questi giorni di settembre bellico si è verificata a Leibstadt: c’è di che sentire scorrere i brividi lungo la schiena?
    Si aggiunge inoltre l’aspetto militare con la minaccia russa di usare bombe tattiche; intanto si direbbe che con la scelta di campo di Tehran con l’ingresso nel Sco, il Jcpoa venga accantonato definitivamente per aprire le porte di arricchimento oltre al 90% dell’uranio – quello militare – all’interno delle centrali iraniane; ormai sono solo più 2 (una in Nordcorea) le centrali civili che producono sia energia elettrica che Plutonio239, che è l’isotopo indispensabile per la bomba, mentre in Russia ci sono 8 centrali a graffite – una è anche in Lituania –, da cui si può ricavare materiale utile per la costruzione della bomba.
    Per questo abbiamo sentito il bisogno di ricevere qualche delucidazione (e rassicurazione) in più sul mondo del nucleare civile, gettando qualche sguardo angosciato al suo potenziale utilizzo militare. Per fare questo Piergiorgio Pescali, scienziato e ricercatore che per il suo lavoro anche per l’Aiea ha visitato parecchie di queste centrali (Zaporizhia e le altre 4 centrali ucraine, Chernobyl, gli stabilimenti nordcoreani e quelli iraniani… Fukushima e le sue acque usate per spegnere il nucleo, che verranno sversate il prossimo anno in Oceano), ci ha fornito il suo punto di vista sulla pericolosità, la manutenzione, il controllo, la sottile linea che divide l’applicazione civile da quella militare, dove talvolta è lo scienziato che prepara il terreno ai generali, più spesso è la necessità bellica (in particolare si citerà Israele come esempio di uno stato che ha avviato la scommessa nucleare esclusivamente per scopi militari) a produrre con gli enormi stanziamenti quella conoscenza che poi filtra nell’applicazione civile. Proprio da questa figura di scienziato bipolare prende l’avvio questo intervento di Piergiorgio Pescali.

    Intrecci mediorientali in uno scacchiere che si va scombinando

    Intrecci mediorientali in uno scacchiere che si va scombinando
    https://ogzero.org/studium/il-mare-di-astana-il-mediterraneo/
    Un dato da cui prendere le mosse per questo excursus sull’area Mena è il fatto che gli sciiti per la prima volta non sono compatti dietro Tehran; di conseguenza vengono considerazioni su Iran-Turchia-Russia, ovvero concertazioni di Astana sempre rinnovate; sauditi e paesi del Golfo che collaborano con Israele, intenti tutti a bombardare e suddividere la Siria, pur nella lenta riabilitazione di Assad.
    Non secondario nella ricostruzione delle turbolenze in corso è il sempre più scarso consenso in costante precario equilibrio per quanto sono stremate le popolazioni – in grado però solo di brevi esplosioni di rabbia e insurrezioni rintuzzate da milizie e repressione – e spartizioni di risorse e influenze. Direte: «Nulla di nuovo!», non proprio... e con Antonella De Biasi – autrice di un quasi profetico volume sulla fine del multilateralismo (Astana e i 7 mari) abbiamo proprio cercato di individuare gli sviluppi e i potenziali spunti di novità offerti dal superamento del multilateralismo.
    Per capire il momento bisogna poi considerare la questione dell'accordo Jcpoa che condiziona le mosse iraniane, sempre molto caute nel coacervo antioccidentale che si sta amplificando a livello globale; mentre il socio di Astana Erdoğan si espone in modo spregiudicato, pur giocando strategicamente e fingendo una equidistanza: cioè i due partner di Astana perseguono tattiche e politiche distinte, complementari e opposte nell'atteggiamento.
    Inoltre le molte tornate elettorali producono politiche antimigratorie, in particolare in Turchia, che mantiene un ruolo nella Nato che sta incrementando, riallacciando relazioni amichevoli con Israele, e contemporaneamente a fini interni provoca la Grecia, rivendicando fette Zee di mare.
    E permane la questione palestinese, curda, saharawi...