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    Cominciamo la serie sulle infami regole evanescenti e prive di scrupoli che sottendono al traffico di armi, che vede le aziende italiane, controllate o meno dallo stato, protagoniste e molto vivaci nel fare affari, perseguire la difesa degli interessi dei colossi energetici nazionali, contrastare l'immigrazione con campi di concentramento appaltati a milizie spietate, addestrare apparati polizieschi che coincidono con gli aguzzini di Giulio Regeni. Inauguriamo questa narrazione con l'intervento di Antonio Mazzeo nella trasmissione informativa di Radio Blackout del 25 marzo 2021
    itOGzero - Orizzonti geopolitici18 Episodes

    Episodes (18)

    Analizzare ordigni connessi alle strategie geomilitari

    Analizzare ordigni connessi alle strategie geomilitari
    Analizzare ordigni e strategie militari per districarsi nel ginepraio della propaganda

    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    A partire dallo studio delle armi messe in campo si può risalire non solo alle strategie belliche, ma pure agli obiettivi reali dell’operazione militare in senso geopolitico? E nel caso delle guerre in corso è possibile ricostruire e dunque prevedere dal tipo di ordigni e di mezzi di guerra utilizzati perché si è giunti a questo punto e come evolverà?
    Francesco Dall’Aglio, esperto di Europa orientale e di questioni strategico militari, ci aiuta a districarci nelle molte verità artefatte della guerra Ucraina a cominciare dal tipo di armi utilizzate diretta conseguenza della strategia militare adottata. Dapprima sono in campo armi definite difensive, definizione avventata per strumenti di morte, quali armi anticarro e armi antiaeree supponeva una strategia di contenimento da parte dell’esercito Ucraino e degli strateghi Nato.
    Con l’annuncio in pompa magna della fallita offensiva di primavera cambia la natura delle armi inviate: carri armati, veicoli trasporto truppe con lo scopo di sostenere l’auspicato avanzamento dell’esercito ucraino. Il congelamento del fronte ha generato una richiesta di utilizzo di droni e artiglieria. I droni iraniani Shahed, facili da usare, economici; “suicidi”, in quanto destinati a colpire bersagli a terra. Fanno la concorrenza ai droni turchi Bayraktar. Sul campo sono presenti anche missili ipersonici russi contrapposti al sistema di difesa Patriot americano… la sperimentazione sul campo diventa un’opportunità commerciale significativa per l’industria degli armamenti.
    Per esempio: Francesco descrive nel suo canale telegram “War Room” la foto che abbiamo adottato in copertina, commentando «qualcuno deve essersi chiesto perché non attaccare una testata termobarica TBG-7V a un drone e mandarla a schiantarsi sulle trincee ucraine, a distanza ben maggiore dei 500 metri scarsi che il lanciarazzi garantisce (non sono le bombe termobariche che lanciano gli aerei ma quelle più piccole che si lanciano con gli rpg - qui la scheda tecnica:https://roe.ru/eng/catalog/land-forces/strelkovoe-oruzhie/grenade-launchers/tbg-7v/). La domanda deve aver trovato risposta positiva e questo è il risultato».
    Un approccio particolarmente efficace per descrivere pragmaticamente conflitti e rivelare intenti geopolitici, spesso inconfessabili.

    Scardinare con uno “scatto” la difesa del consenso al potere

    Scardinare con uno “scatto” la difesa del consenso al potere
    Nonostante il potere.

    https://artspaces.kunstmatrix.com/en/exhibition/12198946/wars-2023-terza-edizione
    Ed è soprattutto il potere democratico, paradossalmente, ad avere bisogno di censurare il fotogiornalismo di guerra.
    E allora abbiamo colto l’occasione per cercare di dare il giusto rilievo al lavoro dei fotoreporter, “gettando uno sguardo” al Premio internazionale Wars - War and Revolutionary Stories a cura dell’“Atlante delle Guerre”; ma anche per fare due chiacchiere con Raffaele Crocco, direttore responsabile e curatore della mostra insieme a Fabio Bucciarelli, per toccare alcuni temi e questioni collegate al complesso e coraggioso occhio dei reporter di Guerra e Migrazione – che infatti si può definire “Guerra alla povertà”: dalla visibilità che deve produrre uno sforzo enorme per superare l’occupazione dell’immaginario dell’ipertrofica produzione di immagini di guerra a sostegno della narrazione di potere, alla “partecipazione” di chi sceglie l’inquadratura e la luce, chi non documenta soltanto la situazione di cui è testimone, ma vive nella Storia insieme ai suoi soggetti.
    Il premio è andato a Sigfrid Modola per un reportage da una sanguinosa guerra dimenticata, quella del Myanmar; ma anche Federico Rios ha ottenuto un riconoscimento con un bel lavoro sul cammino al Darien Gap, lo strenuo passaggio dei migranti che faticosamente attraversano infinite frontiere con la determinazione della disperazione; e non poteva venire dimenticato Santi Palacios, che documenta gli effetti stranianti della strage di Bucha, a completare il terzetto di finalisti. Tre momenti che non a caso riassumono la geopolitica di questa epoca, in cui il sistema mediatico ha preso le misure al grande rivoluzionario lavoro dei freelance che aveva saputo con pochi scatti risvegliare la coscienza politica mondiale al tempo della Guerra nel Vietnam e ora avrebbe bisogno di accedere a molti canali, o che da molte segnalazioni si confluisse sul lavoro di questi 120 partecipanti alla terza edizione di Wars, per toccare le menti distratte da innumerevoli immagini concentrate altrove.
    Si coglie la composizione quasi artistica dello scatto fotografico, ma si rileva anche l’impossibilità di ottenere un distacco da ciò che si vede, perché significherebbe rinunciare alla propria umanità, pressata dalla ferocia delle 31 guerre in corso in questo momento, di cui non si darebbe nemmeno conto se non per il lavoro di questi obiettivi che narrano i tanti civili uccisi, senza contare i molti costretti a indossare divise, per andare a morirci dentro.

    Riconvertire la longa manus mercenaria... prima che te la morda

    Riconvertire la longa manus mercenaria... prima che te la morda
    https://ogzero.org/tag/wagner/

    Abbiamo interpellato Stefano Ruzza, perché la definizione di Private military and security company contiene aspetti che nella relazione tra Cremlino e Wagner non erano soddisfatti fin dall’inizio e, con l’aumento della concentrazione di potere e risorse in quel centro di potere che controllava la Wagner (costituita di gruppi immobiliari, catering, editoria…), il rapporto è ancor più mutato, deteriorandosi sia per gli interessi del committente che differivano ormai dalle ambizioni del gruppo rappresentato da Prigozhin, sia perché la vera forma di contratto stipulato tra le parti non era in realtà quello che intercorre in genere tra contractors ed enti che ne richiedono i servizi: nelle intenzioni di Putin la Wagner non era altro che un apparato militare che svolgeva i lavori sporchi che un esercito regolare non può assolvere, in particolare utile per proxy war – come quella siriana; o interventi di affiancamento a paesi in difficoltà con jihad o rivolte – come in Mali e Burkina; o guerre asimmetriche – come in Sudan, dove i paramilitari avevano già operato una scelta politica di passare armi e bagagli ai ribelli di Hemedti. Sicuramente le potenzialità di una Pmsc sono meno efficaci, o pericolosamente centrali, nei casi di guerre guerreggiate come in Ucraina.
    In realtà un Gruppo ibrido come quello in cui si è trasformato Wagner in seguito alle tante risorse drenate nelle molteplici attività ora non è più funzionale ai bisogni del Cremlino e quindi andava integrato nell’Armata russa, oppure limitato alle operazioni africano e perso per perso... non gli è ancora andata poi così male, a meno che le purghe stiano per scaricarsi, oppure l'analisi deve essere più complessa e attendere che si veda in che modo verrà smembrata la compagnia... perciò la parola va a Stefano Ruzza.

    Lustrare le armi per promuovere la guerra

    Lustrare le armi per promuovere la guerra
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    Il cartello delle armi collauda localmente, crea occasioni di smercio e smaltimento su larga scala, allestisce show-room di distruzione di massa, condiziona attraverso nazionalismo, saccheggio di risorse, settarismo religioso e promozione di risorse.
    Agisce esattamente come una qualunque altra filiera di prodotto: cercando e individuando mercati da penetrare, un’analisi seguita da una forte campagna di marketing (magari aiutandosi con un po’ di terrorismo, qualche milizia opportunamente armata, leader spregiudicati o ispirati da fedi fanatiche), investimenti e promozioni di prodotti in concorrenza tra loro –in territori volta per volta destabilizzati e attraversati dalla guerra… fomentata dalla presenza delle armi studiate appositamente per quel tipo di guerra.
    Dunque “la guerra viene con le armi”, come dice Elisa Gianni nel podcast della trasmissione del 3 aprile di “Rights Now” di Radio Popolare di Milano, citando il dossier da cui OGzero ha iniziato a monitorare per un anno lo smercio di ordigni e utensili bellici… dopo la conclusione di quel dossier con un libro collettaneo (2023:Orizzonti di guerra) possiamo dire che ormai la guerra non è mai stata così diffusa capillarmente: la filiera delle armi ha fatto un ottimo lavoro, non tralasciando alcuno spazio dell’”orbe terraqueo” (citazione dotta, desunta da una premier il cui ministro della Difesa fa di mestiere il trafficante) dove andare a insinuare il bisogno di riarmo. Non si tratta più di seguire le armi per prevedere dove sarà la guerra, ma di capire per ciascun’area che razza di contrasto armato sta per esprimere la conseguenza della tempesta seminata attraverso il repertorio di arnesi di guerra esportati nei singoli scacchieri internazionali. La guerra globale tra le richieste autocratiche di multilateralismo provenienti dall’Oriente e la pervicace supremazia monocratica atlantista dall’altro, questo l’effetto del bisogno di… piazzare armi da parte delle più importanti industrie della filiera delle armi; che agisce nello stesso modo in cui si presentava un secolo fa e come ha documentato bene nel libro Eric Salerno commentando un articolo della rivista “Fortune” del 1934.
    Ma rimane una speranza – che era quella di Fabrizio De Andrè, anche se nella canzone Girotondo risulta fallace – che è quella della foto in copertina: il concerto a Tel Aviv dove russi, bielorussi, ucraini tutti in coro mandano affanculo la guerra.

    La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera
    la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?
    Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera
    giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà.

    Arms and the Men

    Arms and the Men
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    Una disamina quella di Eric Salerno, impegnato in un dialogo durante la “Domenica dei libri” con Roberto Festa sulle frequenze di Radio Popolare, che mette al centro la lobby potentissima degli armieri da un secolo a questa parte centrale nell’esplosione di conflitti e che ha segnato il “Secolo breve”. Lo spunto nasce dai suoi due saggi ospitati nella raccolta di OGzero intitolata 2023: Orizzonti di guerra, in particolare quello che riprende un articolo di “Fortune” del 1934 che conclude la rassegna e inizia l’intervista.
    Uno degli aspetti del libro è quello che descrive lo strapotere dei settori militari e industriali sulle scelte politiche, che condizionano qualsiasi forma di esercizio del potere, sia esso democratico o autocratico o frutto della convergenza degli interessi delle oligarchie ideologiche o religiose, come per il secondo saggio di Eric, che si occupa dell’uso di Tsahal dei test delle armi sui palestinesi come garanzia nelle vendite di ordigni all’estero.
    La discussione prosegue su temi centrali del mercato armiero: il coinvolgimento del racconto mediatico nel divulgare i bisogni dell’industria e le necessità del campo di battaglia, lo smaltimento degli arsenali, la creazione di sempre nuovi nemici a cui vendere le armi, l’intento di «mantenere l’Europa in costante stato di stress», come dice l’estensore dell’articolo di “Fortune” (Eric Francis Hodgins) che chiude il libro da cui Festa e Salerno hanno preso spunto… arrivando a evocare poi la figura di “Ike” Eisenhower, come scritto nell’intervento di Eric nel volume.
    La chiosa dell’intervista si occupa dell’altro saggio di Eric inserito in 2023: Orizzonti di guerra è dedicato a Israele e coglie nell’incipit il cuore del discorso: il cliente vuole essere certo che il prodotto funzioni e i gioielli micidiali che Israele vende sono testati; e la spirale “virtuosa” per i Signori della Guerra si innesca con la vendita degli americani ai paesi arabi, provocando la spinta di Israele all’innovazione e alla costante supremazia e sofisticazione dei prodotti a disposizione di Tsahal.

    La logistica della filiera delle armi

    La logistica della filiera delle armi

    https://ogzero.org/studium/7813/#yemen

    La consapevolezza di come è strutturato e a quali interessi oltreatlantico rispondono i flussi di armi che transitano nei nostri porti è un dato impossibile da ottenere nella sua interezza, ma un costante monitoraggio attraverso accessi a dati paralleli, a segnalazioni estemporanee, incrocio di dati, messa in relazione con eventi coperti dalla stampa internazionale... consente di ricostruire i passaggi e le strategie che sottendono alla produzione, alla logistica, ai modi di aggirare embarghi per zone di guerra, triangolazioni e flotte di traghetti Ro.Ro in costante movimento a rifornire di armi i belligeranti e a preparare le prossime battaglie, destinate ad "assorbire" la produzione di ogni tipo di macchina da guerra. Proprio attraverso queste prassi scientifiche Carlo Tombola ha impostato il suo studio e la sua azione si esprime anche nella partecipazione e ispirazione per https://www.weaponwatch.net, perciò abbiamo cominciato un dialogo che si prevede lungo, volto a illustrare come si può raccogliere, divulgare, contrastare almeno in parte il business che fa di intere popolazioni vittime del profitto che innesca i conflitti.
    Questo primo incontro si è svolto attorno a due fulcri: la lotta dei portali inserita nella filiera mondiale del trasporto marittimo di armi (il 25 febbraio ci sarà una grande manifestazione a Genova contro le armi) e le caratteristiche dell'industria pesante – apparentemente – italiana.

    Dual use militarista: riarmo drogato e industria bellica

    Dual use militarista: riarmo drogato e industria bellica
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/
    L’industria degli armamenti europei è al centro del dibattito per le pretese ucraine di vincere armi esiziali per sgominare l’avversario, allargando il conflitto al mondo. Ma le armi europee e occidentali in generale raggiungono anche altri stati belligeranti e autocrati che opprimono le loro stesse genti, oltre all’idrovora questuante Zelensky, che ha il chiaro intento di tirare dentro alla guerra l’Europa, cominciando dalla Germania.
    Prendendo spunto da un articolo di Alessandro De Pascale comparso su “il manifesto” (https://ilmanifesto.it/myanmar-ora-i-generali-si-fanno-le-armi-in-casa) a due anni dal golpe sanguinario dei generali birmani abbiamo percorso un viaggio alternativo nella produzione, diffusione, traffico di armi e nell’aggiramento dei loro embarghi. La denuncia che ha dato la stura a questo percorso tortuoso che abbiamo svolto in questi 24 minuti con Alessandro riguarda l’approvvigionamento da parte di produttori di armi (europei, americani, cinesi, russi e ucraini, spesso statali o a partecipazione statale) di macchine, software, particolari tecnologici, ricambi, componenti da assemblare in loco che consentono alla giunta di Naypyidaw di costruirsi le armi per uccidere gli oppositori (le stesse cartucce che due anni fa la ditta italiana Cheddite aveva fornito a Tatmadaw si trovano ora nei bossoli dei basij iraniani sui giovani in rivolta). La ciliegina evidenziata nel rapporto (Fatal Business) a cui fa riferimento l’articolo è che non esiste industria bellica in Birmania al di fuori dell’esercito stesso.
    Da quel crogiuolo birmano di armi provenienti da tutto il mondo in particolare dalla Cina – ma con la connivenza di tutti i produttori di morte mondiali (l’Italia del ministro della Difesa mercante d’armi tra i primi) – il discorso di Alessandro si allarga ai beni dual use che aggirano divieti e avviano triangolazioni (e questo ci porta in Cina, India e all’onnipresente industria militare turca), che vedono sempre in primo piano l’importanza di luoghi topici, essenziali per la loro collocazione come Singapore e Taiwan, dove in un altro rapporto si trova denunciata la presenza di tecnici europei che curano la manutenzione dei macchinari da rimandare in Myanmar. Un sistema che vale per tutte i regimi (Egitto, Sudan, Etiopia, Iran…) in cui i militari hanno una rilevanza enorme all’interno di una società da loro interpretata e dove l’economia è controllata direttamente da loro. Un esempio eclatante è lo scivolamento nella dittatura militare dello Stato d’Israele, dove tutte le scelte sono influenzate da Tzahal; come vale per una democratura oligarchica quale quella russa.
    Un altro spunto di discussione ci viene dato da un articolo dell’Atlante delle guerre ispirato dal Centro studi strategici statunitense che simula un attacco di Pechino a Taipei: il fatto che ci perdano tutti più che risultare un deterrente per guerrafondai incalliti, fa immaginare come nella chiosa dell’articolo di Emanuele Giordana (https://www.atlanteguerre.it/war-games-la-guerra-sotto-traccia-per-taiwan/) che più che dei “wargame” come “The First Battle of the Next War” (un giochino che nella realtà va avanti da tempo con i sorvoli degli stormi del Pla, o le esercitazioni navali nel mar cinese meridionale) si dovrebbero implementare simulazioni di “diplomaticgame”, e invece il responso è stato mandare più armi a Taiwan, innescando di nuovo un’escalation che può fare piacere solo all’industria bellica. Un riarmo che è invece il panorama globale che nell’area vede nel Giappone un altro protagonista che ha operato enormi stanziamenti (https://ogzero.org/studium/la-guerra-viene-con-le-armi-lo-spaccio-ad-agosto/#japan), cambiato la costituzione (ex pacifista), acquisito armi, partecipato a esercitazioni (https://ogzero.org/studium/7813/#nihon).
    Anche il Covid ha avuto un ruolo nella militarizzazione della società, come lo svuotamento degli arsenali di mezzo mondo esauriti nella quantità di fuoco sparato nella guerra ucraina ha prodotto nuovi problemi, perché le aziende non riescono a stare dietro alla richiesta, pur producendo a pieno ritmo; ed è un business di stato quello delle armi. Vendute a regimi feroci e sanguinari, anche e soprattutto da aziende italiane, che in modo anticostituzionale – pur essendo spesso a partecipazione statale – ripudiano a loro modo la guerra.
    Chiudiamo le suggestioni legate alle armi con un ultimo articolo, firmato da Alessandro sull’uso dei droni da parte dei narcos (https://www.atlanteguerre.it/la-guerra-coi-droni-dei-narcos-messicani/), macchine usate a scopo offensivo per bombardare zone, ma anche – un nuovo dual use – per trasportare droga, le stesse usate ai tempi dei tagliagole daesh, completando il ciclo con l’assunzione di droghe per effettuare efferati massacri come quelli che i droni riescono a fare se caricati di munizioni e ordigni letali. E che ancora vengono utilizzati in Siria, il più nuovo narcostato del mondo sia per il trasporto del Captagon che per bombardare civili (https://droghe.aduc.it/articolo/captagon+ha+reso+siria+piu+nuovo+narco+stato+mondo_35484.php).

    Qatar-washing: oleum et circenses

    Qatar-washing: oleum et circenses
    Con Alberto Negri scrutiamo in che modo il Qatar abbia assunto un ruolo eminente nell’area, nonostante i molti vicini ostili e le evidenti simpatie per i Fratelli musulmani (in un momento di grandi difficoltà per l’Iran), e si candidi a snodo strategicamente importante, sfruttando l’ipocrisia occidentale, che finge di additare i diritti umani calpestati per poi farsi bastare pochi appalti, alcuni miliardi in cambio di armi (in preparazione di quale guerra, probabilmente contro il mondo occidentale, non si sa ancora; per il momento si assiste a milizie mercenarie braccio molto ben armato dei vari emirati) per vedere offuscata la vista sulla condizione femminile, sulle esecuzioni sommarie, sui morti di schiavitù nella costruzione degli stadi mondiali (pagati con denaro europeo, viste le partecipazioni qatarine).
    Abbiamo preso spunto da un articolo scritto da @negrialbe per "il manifesto", https://ilmanifesto.it/in-europa-e-in-italia-siamo-tutti-qatarini, riassunto in alcuni spezzoni dell'eloquio del reporter, che ci ricorda in che modo hanno agito gli al-Thani: «Hanno esportato il terrorismo a casa degli altri e usato i quattrini per mandare i terroristi negli altri paesi arabi, ma non si è mai sentita alcuna campagna mediatica contro i paesi del Golfo… ospitano due dei più grossi contingenti militari nel proprio territorio: uno americano e uno turco… rappresentano preziosi investimenti nell’immobiliare, nel settore bancario-assicurativo, nel lusso, nella grande distribuzione in Europa...»
    Un segnale di quanto i qatarini siano ormai potenti e l’organizzazione dei mondiali non sia da leggere come rampa di lancio, ma come esibizione di potenza acquisita, è il fatto che nella questione della corruzione lobbystica al parlamento europeo non compaia nemmeno un nome di qatarino.
    https://ogzero.org/regione/golfo-persico/

    Uno sguardo radioattivo dall’interno del nucleo

    Uno sguardo radioattivo dall’interno del nucleo
    https://ogzero.org/tag/jcpoa/
    Il nucleare è sempre stato al centro del dibattito geopolitico per motivi svariati in epoche diverse, prima della guerra in Ucraina si ragionava del superamento del carbon-fossile e l’alternativa alle fonti rinnovabili, per taluni più inquinanti per il depauperamento della terra, se non si procedeva a innescare la decrescita, poteva essere il ritorno alla rincorsa nucleare; con le conseguenze di approvvigionamento energetico che ha comportato l’invasione dell’Ucraina (che tra gli altri ha visto al centro dei timori la sorte della centrale di Zaporizhzhia) molti stati sono tornati a riattivare centrali nucleari, tra queste la Germania che in questi giorni ha rinunciato al programmato spegnimento definitivo delle sue 3 centrali, o la Francia che non ha mai abbandonato la scelta nucleare (e si è trovata proprio in questo frangente bellico con molte in difficoltà e in manutenzione) e sta impiantando nel Sud della Francia Iter – promosso come un nuovo sole in Bouches-du-Rhône; ma anche il gigante cinese ha in progetto 150 nuove centrali entro il 2040, e pure la piccola Slovacchia intraprende la strada del nucleare; e persino il Giappone, dopo la pericolosa impreparazione dimostrata a Fukushima, sta tornando all’energia nucleare.
    Three Miles Island, Chernobyl. Fukushima… ultima piccola fuga radioattiva di cui non si è parlato in questi giorni di settembre bellico si è verificata a Leibstadt: c’è di che sentire scorrere i brividi lungo la schiena?
    Si aggiunge inoltre l’aspetto militare con la minaccia russa di usare bombe tattiche; intanto si direbbe che con la scelta di campo di Tehran con l’ingresso nel Sco, il Jcpoa venga accantonato definitivamente per aprire le porte di arricchimento oltre al 90% dell’uranio – quello militare – all’interno delle centrali iraniane; ormai sono solo più 2 (una in Nordcorea) le centrali civili che producono sia energia elettrica che Plutonio239, che è l’isotopo indispensabile per la bomba, mentre in Russia ci sono 8 centrali a graffite – una è anche in Lituania –, da cui si può ricavare materiale utile per la costruzione della bomba.
    Per questo abbiamo sentito il bisogno di ricevere qualche delucidazione (e rassicurazione) in più sul mondo del nucleare civile, gettando qualche sguardo angosciato al suo potenziale utilizzo militare. Per fare questo Piergiorgio Pescali, scienziato e ricercatore che per il suo lavoro anche per l’Aiea ha visitato parecchie di queste centrali (Zaporizhia e le altre 4 centrali ucraine, Chernobyl, gli stabilimenti nordcoreani e quelli iraniani… Fukushima e le sue acque usate per spegnere il nucleo, che verranno sversate il prossimo anno in Oceano), ci ha fornito il suo punto di vista sulla pericolosità, la manutenzione, il controllo, la sottile linea che divide l’applicazione civile da quella militare, dove talvolta è lo scienziato che prepara il terreno ai generali, più spesso è la necessità bellica (in particolare si citerà Israele come esempio di uno stato che ha avviato la scommessa nucleare esclusivamente per scopi militari) a produrre con gli enormi stanziamenti quella conoscenza che poi filtra nell’applicazione civile. Proprio da questa figura di scienziato bipolare prende l’avvio questo intervento di Piergiorgio Pescali.

    Intrecci mediorientali in uno scacchiere che si va scombinando

    Intrecci mediorientali in uno scacchiere che si va scombinando
    https://ogzero.org/studium/il-mare-di-astana-il-mediterraneo/
    Un dato da cui prendere le mosse per questo excursus sull’area Mena è il fatto che gli sciiti per la prima volta non sono compatti dietro Tehran; di conseguenza vengono considerazioni su Iran-Turchia-Russia, ovvero concertazioni di Astana sempre rinnovate; sauditi e paesi del Golfo che collaborano con Israele, intenti tutti a bombardare e suddividere la Siria, pur nella lenta riabilitazione di Assad.
    Non secondario nella ricostruzione delle turbolenze in corso è il sempre più scarso consenso in costante precario equilibrio per quanto sono stremate le popolazioni – in grado però solo di brevi esplosioni di rabbia e insurrezioni rintuzzate da milizie e repressione – e spartizioni di risorse e influenze. Direte: «Nulla di nuovo!», non proprio... e con Antonella De Biasi – autrice di un quasi profetico volume sulla fine del multilateralismo (Astana e i 7 mari) abbiamo proprio cercato di individuare gli sviluppi e i potenziali spunti di novità offerti dal superamento del multilateralismo.
    Per capire il momento bisogna poi considerare la questione dell'accordo Jcpoa che condiziona le mosse iraniane, sempre molto caute nel coacervo antioccidentale che si sta amplificando a livello globale; mentre il socio di Astana Erdoğan si espone in modo spregiudicato, pur giocando strategicamente e fingendo una equidistanza: cioè i due partner di Astana perseguono tattiche e politiche distinte, complementari e opposte nell'atteggiamento.
    Inoltre le molte tornate elettorali producono politiche antimigratorie, in particolare in Turchia, che mantiene un ruolo nella Nato che sta incrementando, riallacciando relazioni amichevoli con Israele, e contemporaneamente a fini interni provoca la Grecia, rivendicando fette Zee di mare.
    E permane la questione palestinese, curda, saharawi...

    Astana prepara crepe nell'asse mondiale sparigliando le polaritÃ

    Astana prepara crepe nell'asse mondiale sparigliando le polaritÃ
    https://ogzero.org/studium/il-mare-di-astana-il-mediterraneo/

    Tutti contro tutti. Un panorama di rovine su cui ridisporre il nuovo ordine mondiale è l’intento del terzetto di Astana?

    La difficoltà a interpretare il quadro fosco di conflitti globali scatenati sullo scacchiere internazionale ci ha spinto a rivolgerci a Matteo Bressan, docente di Relazioni internazionali alla Lumsa e di Analisi strategica presso la Link Campus University. E proprio la strategia raffinata, sottile e priva di addentellati etici risulta particolarmente complessa nel momento in cui, dopo Accordi promossi e sbandierati nei loro (presunti) risultati, si assiste a svolte e rilanci, come quelli relativi all'accordo sul grano con l'Onu e la Turchia a fare da garanti, che lasciano intuire un disegno più ampio a coinvolgere gli stessi protagonisti chiamati a sancire risoluzioni effimere, ciascuno cercando di ottenere un vantaggio ulteriore e recondito dalle singole tappe della partita in corso.
    Ciò che ci ha colpito è che quelle iperattive sono le potenze che hanno animato il Processo di Astana, uno dei tasselli principali che va condizionando l'attuale sistema internazionale e che permane come asse regolatore degli equilibri tra Iran, Turchia e Russia, tanto da riproporre l'incontro a tre il 19 luglio (e poi di nuovo a Sochi il 5 agosto per nuovi dettagli), dimostrando come Mosca sia tutt'altro che isolata e che è in grado di dare le carte, spartendo aree di influenza e reciproche legittimazioni, giocando sui termini "terrorismo", "operazioni speciali", "forniture" in chiave antioccidentale (magari continuando per certi versi – militari – a farne parte, come Ankara), interpretando in chiave "locale" mediterranea la sfida alla supremazia Occidentale, individuando nell'ascesa cinese la possibilità di scalfirla, sia in forma bipolare – costituendo un cartello di regimi a liberalismo non democratico, oppure mantenendo quel multilateralismo di mani libere che il disimpegno di Trump ha agevolato non contrastandoquell’espansionismo, che fa leva anche sul sentimento anticoloniale del Sud del mondo, che trova una sponda nel l’attivismo militare russo (Wagner) e nei bisogni di nuovi approdi per la Bri cinese. Tutto ciò può preludere a un nuovo ordine globale.
    Quell'incontro a Tehran è avvenuto a qualche giorno di distanza dal viaggio mediorientale di Biden: in Israele a suffragare il potere militare di Tel Aviv (e consolidando gli accordi di Abraham, utili ad assicurare alleanze con altrettali autocrazie) e a Riad, dove l'assassino Mbs si è preso il lusso di respingere la richiesta del potente alleato di aumentare la produzione di petrolio: un ritocco fuori dagli organismi dell'Opec – di cui fa parte anche la Russia – sarebbe stata una scelta di campo. Invece lo schieramento è ancora molto liquido e sulla scacchiera le pedine non sono tuttora disposte a precise scelte di campo, come dimostra il muro eretto da entrambi (Israele e sauditi) contro il nucleare iraniano, perché percepito da ambedue come un accordo contro di loro, come nel 2015; come lo stesso grano caricato sulle 10 navi ucraine ancora in stallo a Odessa. Evidentemente non ci sono ancora rassicurazioni valide per tutti o si intravedono margini di trattativa ulteriore in ognuno di questi teatri di scontro, che rappresentano l'intera area (dallo Yemen all'Iraq): «Una parte di mondo si sta orientando diversamente e non è detto che guardino all'Occidente come prima; questa è l'incognita della guerra della Russia: dimostrare che il sistema occidentale che dal 1945 regola il mondo può essere bypassato», chiosa Bressan. E questo si ottiene anche riorientando l'intera economia russa su altri mercati – disponibili e pronti ad assorbire merci sotto embargo –, inficiando sanzioni che si dimostrano inefficaci, come dimostrato dal sistema di isolamento dell'economia iraniana, che non ha mai prodotto risultati.
    E da quel porto sul mar Nero con il suo carico di cereali abbiamo cominciato a seguire il ragionamento di Matteo Bressan, che ha ripercorso il format di Astana e le sue soluzioni, che propongono per il futuro una riedizione del passato neo-ottomano (curdi, libici e armeni hanno cominciato ad accorgersene) e neozarista, mentre la mezzaluna sciita si trova alle prese con lo stallo iracheno, il tracollo libanese, lo scacco Jcpoa (accordi che non possono rimanere soltanto meramente tecnici, ma devono venire composti dalle diplomazie); un iter che consente a Erdoğan di presentarsi come mediatore, non avendo abbandonato il campo Nato, ma essendo centrale in questa spartizione di influenze. Il capolavoro di questo processo è rappresentato dall'accordo sul grano, perché a tutti gli effetti vede Turchia e Russia decidere come procedere, come era successo in Artsakh (https://ogzero.org/tag/nagorno-karabakh/), «tagliando fuori tutto il resto del mondo».
    Il dubbio che abbiamo sottoposto a Bressan è che si tenda a risolvere la disputa sugli equilibri mondiali in senso non più unipolare tentando da parte delle potenze autocratiche diversamente liberaliste di comporre il dissidio una volta conseguiti i risultati locali minimi, oppure invece procedere a innescare una vera guerra globale che finirebbe con il coinvolgere anche il comparto indopacifico (reale interesse americano che spiega il disimpegno mediorientale all'origine delle spallate di ogni singola potenza locale), stravolgendo il mondo che abbiamo imparato a conoscere dal 1945.

    Il cambio di passo militare: acceleratori e corsa agli armamenti

    Il cambio di passo militare: acceleratori e corsa agli armamenti
    https://ogzero.org/studium/affari-e-traffici-darmi-lo-spaccio-nel-2022/

    Una serie di diversi e sinistri aspetti gravitano attorno alle armi, alle tecnologie di distruzione, agli investimenti, spesso nascosti dall’utilizzo dual (militare/civile)… solo Diana, l’acceleratore della Nato principale in Europa da cui cominciamo il discorso con Antonio Mazzeo, vede stanziati 1.3 miliardi di euro.

    Diana (Defence Innovation Acceleration North Atlantic), primo fondo d’investimento sovrano per le nuove tecnologie di armamenti, buco nero per soldi e trasformazione urbanistica intorno alle Ogr torinesi, proprio vicino al Politecnico, che svolge un ruolo determinante nel progetto, un atteggiamento apertamente bellicista che la facoltà d’ingegneria torinese adotta ormai da alcuni anni.
    Cultura della Sicurezza e Cultura della Difesa. A quando si può far risalire il successo di questo modello politico-culturale di riferimento con pilastri centrali l’esercito e i servizi, da un lato, e la ricerca dall’altro, che assorbe finanziamenti enormi? Un modello vincente di stampo israeliano, per cui si vedono sempre più frequenti fusioni tra istituzioni e aziende italiane con quelle israeliane, collaborazioni e finanziamenti comuni.
    E proprio i finanziamenti sono al centro e una voce spropositata di spesa collettiva statale viene assorbita dalle missioni militari all’estero, rifinanziate da tutti i governi (il bilancio di spesa per le missioni italiane 2022 è fissato a 1.3 miliardi di euro), con la differenza che ora spudoratamente vengono allestite attorno agli interessi energivori nazionali da figure militari e civili che passano da un incarico all’altro dimostrando l’interconnessione stretta di un sistema chiuso tra apparato militare (il generale Graziano nominato da Draghi a Fincantieri), finanziario (Profumo da ceo di Unicredit a amministratore delegato di Leonardo): un elite fuori dal controllo parlamentare e che stringe accordi come quelle del generale Portolano (segretario generale alla Difesa), che ha interpretato alla lettera l’incarico di stimolare l’export, facendo il mercante di armi dal settembre 2021.
    Tutto il sistema di spesa, produzione, traffico adotta missioni (dove si collaudano ed esibiscono i mezzi da vendere), accordi, collaborazioni come vetrina allestita direttamente dal ministero della Difesa; il fatto che la promozione sia a carico delle istituzioni governative è dimostrato dalla partecipazione a fiere come quella di Riyad o Eurosatory, dove è il ministero a sponsorizzare i prodotti delle aziende. Che ora non sono neanche più distinte tra convenzionali e di sterminio di massa o nucleari; i sofisticati sistemi di arma ibridi hanno capacità di distruzione micidiali e vengono vendute a fazioni in conflitto aperto; ed è la produzione e vendita di armi a belligeranti a loro volta produttori di armi innesca esponenzialmente i focolai bellici. Di nuovo: la guerra viene con le armi.

    Fine di un mito: la neutralità scandinava

    Fine di un mito: la neutralità scandinava
    Sembra quasi che ciascun protagonista colga a pretesto lo scoppio del bubbone ucraino per definire una propria nuova visione del mondo per ricollocarsi, andandogli stretto il canovaccio rispettato per decenni... e forse azzardando previsioni o precognizioni che non ci sia più spazio per posizioni più defilate. E meno servili?
    Comunque abbiamo chiesto a Monica Quirico come si può "collocare" la scelta di Svezia e Finlandia di rinunciare alla scelta – pacifica – di non schierarsi a favore di alcuna potenza. L'ultimo atto del declino socialdemocratico scandinavo: sepoltura definitiva di Olaf Palme, welfare e ripudio del nazionalismo; Kakkonen e gli equilibrismi finnici, le guerre tra bianchi e rossi... tutto sostituito da elmetto e mimetica della Nato.
    In realtà un lungo processo di avvicinamento e di ostentato nazional-militarismo che ora va a coronarsi nella amalgama atlantista.
    Escalation
    itMay 06, 2022

    Utopia del contingente da disarmare

    Utopia del contingente da disarmare
    «Manca la volontà politica di andare a un dialogo... ma perché gli interessi sono altrove», così sintetizza @mazzeoantonio questa mezz'ora in cui la guerra ucraina viene raccontata su @rbo10525 da un punto di vista inedito: quello del business delle armi.

    Analisi di un sistema volto a innescare una corsa agli armamenti che coinvolge tutte le parti in causa in una tendenza globale. I dubbi sono molti: innanzitutto chi riceverà le armi provenienti dall'Occidente? non esiste un esercito che non sia infiltrato da neonazisti.
    Non solo, anche le regole di ingaggio non sono riconosciute, perché ciascuno dei contendenti non individua un terreno comune e soprattutto non rinuncia a usare qualsiasi mezzo per raggiungere il fine. Senza alcuna etica riconducibile alla Grande illusione di Renoir.
    Il rischio può essere nucleare, ma ormai si è disinnescato il deterrente e quindi tutto può venire utilizzato. Non è un caso che gli unici che vengono rivalutati sono i titoli di borsa legati al comparto bellico; per esempio alla prima edizione della Fiera delle armi di Riad tutti i protagonisti del sistema bellico erano presenti fianco a fianco. Peraltro i vari battaglioni neonazisti sono stati addestrati dalla Nato.
    E poi guerra elettronica che vede protagonisti aerei e sistemi di stanza in territorio italiano; e l'escalation vede portaerei, sistemi d'arma per fare pressing sulla Russia; al centro c'è una sorta di keynesismo di guerra della corsa al riarmo: depauperare risorse pubbliche per trasferirle al gas e all'energia nucleare e al comparto militare industriale stanziamenti che vengono spartiti con ricerca universitaria prona a collaborare tra le fake news della propaganda bellica

    L’ultima frontiera françafrique: droni da Israele in Maghreb e in Sahel risorse e contractor

    L’ultima frontiera françafrique: droni da Israele in Maghreb e in Sahel risorse e contractor
    Il Marocco nell’analisi di Antonio Mazzeo rappresenta un passaggio originale della penetrazione di Israele – unico sviluppo di affari derivanti dagli Abrahams’ Accords – e degli interessi francesi nell’area; il paesaggio maghrebino rischia di riempirsi di droni chiamati a risolvere un’impasse che dura da quasi mezzo secolo, con i processi di ricolonizzazione del Sahara spagnolo. L’obiettivo principale dei droni è il popolo saharawi, ma anche la rivale storica, l’Algeria; il tutto inserito nella tensione franco-algerina, con la guerra dei visti e l’uso strumentale della storia dei collaborazionisti Harkis.
    L'escalation dei contractor russi della Wagner in Mali è un’altra forma di neocolonialismo con vecchi e nuovi protagonisti: Bamako sarebbe pronta a versare quasi 11 milioni di dollari al mese alla società di sicurezza privata Wagner Group. Ma la Francia difficilmente rinuncerà alla sua influenza sull’area.

    Missioni coloniali in Sahel: tassello della guerra globale e della spartizione del mercato africano

    Missioni coloniali in Sahel: tassello della guerra globale e della spartizione del mercato africano
    Il Sahel è un'area molto importante per l'Occidente, la Francia in particolare, viste le risorse (Uranio, petrolio) e per la collocazione che mette in collegamento il Mediterraneo maghrebino con l'Africa centrale. Ma è anche in subbuglio, perché il jihad ha buon gioco a inquadrare la miseria derivante dalla desertificazione, dalla trasformazione della proprietà della terra (monocultura e controllo delle acque) e dalle predazioni dei paesi colonialisti.
    Di qui la necessità di occupare in forze militarmente il territorio: la Francia già da anni ha dislocato la missione Barkhane, intervenendo in Mali, ora si avvia Takouba, una ancora più mirata missione internazionale, a cui partecipano truppe dell'esercito italiano, con regole d'ingaggio sconosciute, sotto il comando francese, e a seguito di un voto parlamentare datato e approvato su un testo fumoso inserito nel finanziamento delle spese militari all'estero, dalle quali emerge l'impegno di 200 militari, 20 carri armati e 8 elicotteri.
    Abbiamo preso spunto da due articoli per affrontare questo spinoso argomento: uno è una ridicola marchetta di Formiche.net, che ha intervistato Giulio Sapelli per spingere il governo italiano a una maggiore intraprendenza nel "fare affari", tradotto: vendere armi anche e soprattutto ai "dittatori" come al-Sisi, nonostante tutto, per risultare competitivi con l'assenza di scrupoli di Macron, soprattutto in Africa.
    Invece l'articolo serio è comparso su "Pagineesteri.net", lo ha firmato Antonio Mazzeo: "Italia in Mali. Assieme ai golpisti per fermare i flussi migratori e 'stabilizzare' il Sahel". Abbiamo sentito l'estensore di questo secondo articolo per inquadrare meglio questa "stabilizzazione" e già dall'inizio ha avuto modo di rassicurare Sapelli, perché ci ha fornito una informazione poco conosciuta e cioè che su quei Rafale venduti dai francesi all'Egitto verranno montati sistemi d'arma di Leonardo-Finmeccanica: cioè le due potenze coloniali collaborano sia attraverso i grossi rami d'azienda (Eni e Leonardo per l'Italia; Total e Dassault per la Francia). Macron ha potenziato enormemente il dispositivo militare dislocato in Sahel, perché la minaccia e forte quanto gli interessi, soprattutto ora che è morto Déby costituendo un nuovo motivo di preoccupazione. E la Francia è solita imporre regimi golpisti laddove vede lesi i suoi interessi da forze insorgenti, come è capitato proprio in Mali, dove si andrà a sostenere con Takouba una giunta militare, instaurata da un anno proprio dai francesi di Barkhane
    Vengono legittimate le intrusioni europee in Sahel a difesa degli interessi predatori dalla necessità di contrastare gli uguali interessi energivori di Russia e Cina (e Turchia, che è il vero competitor italo-francese): giustificazioni per imprese militari costosissime e che servono per difendere la presenza africana (Angola, Mozambico, Nigeria) dell'Eni – oltreché per giustificare la spesa in attrezzature militari e dell'intero comparto della Difesa.
    I francesi hanno un numero spropositato di cacciabombardieri nell'area, una quantità di uomini che potrebbe contrastare una potenza suo pari nell'area e in quasi un decennio non è riuscita a limitare lo sviluppo di milizie e di gruppi insorgenti: la lotta al jihad è solo la foglia di fico, e dunque la crescita della sfida islamica va mantenuta per poter legittimare le missioni e imporre l'accesso al mercato africano; e non va dimenticato Biden, che ha rilanciato Africom, l'agenzia americana di penetrazione dell'Africa da parte dei militari statunitensi: è in preparazione un'esercitazione che si svolgerà in Marocco, come in finale del suo intervento ci rivela Antonio Mazzeo per illustrare la corsa di tutte le potenze grandi, medie e piccole per trasformare il continente come il più grosso mercato di armi mondiale, soprattutto proprio in Sahel.

    Il traffico d’armi segue solo criteri di mercato, ma si può tracciare

    Il traffico d’armi segue solo criteri di mercato, ma si può tracciare
    L'abbraccio tra mercanti d'armi e politica italiana è esiziale. Il traffico d’armi segue solo criteri di mercato, ma si può tracciare; e questo è ciò che l'osservatorio sulle armi leggere e la rete italiana pace e disarmo fanno, diffondendo dati e informazioni. Giorgio Beretta illustra come certe teorie geostrategiche giustifichino la vendita di ogni tipo di armi in qualsiasi contingenza aggirando geopoliticamente le leggi in vigore. Un'economia che vale l'1% del pil, ma che viene spacciata come centrale delle finanze italiane. L'esportazione degli armamenti sono diventati un modo di implementare l'importanza dell'Italia nel mondo.

    Sono disponibili due documenti utilissimi, uno è fornito per legge (la 185 del 1990: “Tutto deve essere conforme alle necessità di difesa italiane”) ed è previsto che al parlamento venga fornita la Relazione governativa annuale sull'export degli armamenti, un report che regola la vendita estera dei sistemi militari italiani; da questo si desumono alcuni dati importanti, quello che urla vendetta immediatamente è che il cliente più grosso per le casse italiane delle armi è l'Egitto, seguito dal Qatar, dal Turkmenistan... dall'Arabia saudita. Quest'ultima fin dai tempi in cui aveva già iniziato l'avventura yemenita. Giorgio Beretta, il nostro interlocutore, ricorda questa particolarità e viene spontaneo chiedersi se sarebbe possibile preconizzare nuovi conflitti e preparazioni di orizzonti bellici seguendo le indicazioni statistiche che si evincono da queste relazioni... considerando le leggi di mercato, per cui è ovvio che per passar a nuove tranche di consegne vanno smaltite le forniture precedenti.

    Un dato è chiaro: con i quasi 15 miliardi del 2016 si prosegue a strascico, con una scia che arriva fino al 2021, portando con sé una serie di clientele e forniture fidelizzate per trascinamento che pongono il posizionamento italiano su un livello medio più alto.

    L'altro documento a cura di Transparency International è uscito in questo scorcio di fine aprile. Si tratta dell'Analisi dell’industria della difesa sull’agenda politica italiana, un rapporto redatto a livello europeo sulle influenze che condizionano l'industria della difesa in Italia, le indebite influenze nella politica in materia di difesa. Germania e Italia sono state scelte come casi di studio per le caratteristiche della governance della difesa, con le potenziali influenze, i meccanismi messi in atto, il coinvolgimento delle fondazioni politiche, il fenomeno delle sliding doors, i sistemi di suddivisione della cifra totale e la difficoltà dunque di tracciare la somma totale destinata a “scopi di difesa”.

    «le esportazioni di armi sono direttamente collegate alle strategie di capacità di difesa nazionale, poiché è la somma della produzione per le Forze Armate e per le esportazioni che rende la produzione di armi economicamente sostenibile. Questo crea nei Governi una dipendenza dalla promozione delle esportazioni di armi dell’industria in cambio di migliore capacità di difesa nazionale e maggiore capacità di produzione interna», Giorgio Beretta sintetizza e analizza con precisione i meccanismi e i dati in nostro possesso su quale sia la struttura del business, scoperchiando i traffici illeciti di armi e facendo nomi e cognomi dei responsabili, filiere complete di ordigni e poi protesi per “aggiustare” i danni prodotti.

    Fiere in armi

    Fiere in armi
    Laddove si può lucrare sulla morte, l’Azienda-Italia fornisce i prodotti soprattutto ai dittatori.
    Escalation era un’espressione collegata alla figura di Lyndon Johnson che maturò nel novembre del 1964 la scelta di procedere con bombardamenti a tappeto sul Nord Vietnam con l'operazione Rolling Thunder, che utilizzò una quantità di ordigni superiore a quelli sganciati nell'intera Seconda guerra mondiale. Ora stiamo assistendo a un'escalation nel rifornimento di mezzi di morte da parte delle potenze – piccole, medie, grandi – e di test su missili balistici, impieghi di nuove macchine belliche in teatri di guerra locali con lo scopo di collaudarle... parallelamente si sta profondendo altrettanto sforzo promozionale da parte di membri del governo e di figure colluse con la vendita di armi che promuovendo lo sforzo produttivo della filiera bellica, ne esalta gli effetti: l’uso nei paesi relativamente vicini è rivolto al contenimento dell'immigrazione (spesso con una falsa e strumentale equazione fantasiosa con il terrorismo), collaborando con regimi totalitari e fondati sulla sopraffazione e sull’estrazione da giacimenti controllati da Eni, l’altra preziosa industria nazionale; la vendita a nazioni lontane e sotto embargo invece è possibile attraverso triangolazioni con paesi terzi o impiantando società in un paese con minori scrupoli ancora che fabbrica usando brevetti e know-how, smerciando direttamente a massacratori. Come è il caso della bella inchiesta di Atlante delle Guerre, Opla e altri che hanno individuato da una fotografia la dotazione di proiettili "italiani" a Tatmadaw, il famigerato esercito birmano che sta soffocando l'insurrezione contro il golpe del 1° febbraio in Myanmar: un'inchiesta che sta proseguendo quotidianamente ospitata su "il manifesto" e ripresa su “Lettera22”.
    Casi come quelli vengono denunciati ultimamente da molti attenti analisti: Manlio Dinucci ha scritto un articolo per "il manifesto" del 23 febbraio in cui si studiavano le varie implementazioni di missili balistici a lungo e corto raggio presso tutte le potenze che si contendono il controllo globale a suon di testate nucleari, mentre il lavoro svolto da Antonio Mazzeo, insegnante, blogger ed esperto di armamenti, denuncia ogni forma di complicità con regimi messi al bando ufficialmente, ma con cui sotto banco si fanno affari, o addirittura si addestrano in una sorta di Escuela de las America mediterranea (ad Abbasanta in Sardegna, ma per insegnare ai poliziotti birmani la repressione c’è anche l’organizzazione umanitaria Ihil di Sanremo) i peggiori aguzzini per esempio egiziani, istruendo proprio i commilitoni che hanno torturato e assassinato Giulio Regeni. E il ministro Guerini nega tutto, ma Mazzeo lo ha inchiodato su "Africa Express", portando date, riferimenti (Fincantieri con le sue fregate – per quanto la lavorazione sia esternalizzata dando lavoro a maestranze a basso costo – e Leonardo con cacciabombardieri e con i Mangusta, oltre agli addestratori), iniziative (la partecipazione entusiasta alla Fiera delle Armi de Il Cairo, ennesima vetrina ipocrita)... progetti (Itepa).

    Antonio Mazzeo ha tracciato un quadro che prende in considerazione tutti questi ambiti, documentando come e perché è feroce e inaccettabile eticamente il comportamento dei responsabili italiani dell'esportazione enorme di armi – spesso poi premiati con posti di rilievo e molto ben remunerati (come Minniti nel mondo di Leonardo e anche editorialista di "la Repubblica" filoisraeliana diretta da Maurizio Molinari): la vera escalation di armi in fiera.
    Ma esistono ancora movimenti e persone inorridite pronte a contrapporsi alle aziende di morte, come avvenne negli anni Settanta quando le maestranze stesse imposero la riconversione delle linee di prodotti militari in merci civili.