La rappresentanza di genere nella politica italiana
Nel corso del gennaio 2022, mentre in Italia stava per essere eletto il Presidente della Repubblica, diverse voci hanno sostenuto che fosse il momento di avere una donna alla più alta carica dello Stato.
Gli appelli ad avere più donne ai posti di potere sono apparentemente mossi da buone intenzioni, ma finiscono sempre per suscitare critiche aspre, e non tanto per le possibili strategie politiche che possono celare, come nel caso delle elezioni per il Quirinale.
In effetti, se da un lato le invocazioni per un maggior numero di donne nelle istituzioni danno sostanza ai principi di non discriminazione e pari opportunità â che rientrano anche tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dallâAgenda 2030 delle Nazioni Unite â dallâaltro generano vari problemi.
In certi discorsi, lâessere donna sembra quasi essere un requisito, potremmo dire, curriculare, da aggiungere o persino sostituire ad altri, come il livello di istruzione, le competenze o lâesperienza professionale.
Ma è possibile, o giusto, intendere il genere in questo modo?
In altre parole: una donna può essere, solo in quanto tale, portatrice di istanze politiche precise o diverse da quelle di un uomo? E sulla base di cosa?
Il LAPS, Laboratorio di analisi politico sociali, e il CIRCAP, Center for the Study of Political Change dellâUniversità di Siena hanno realizzato il primo studio sulla composizione di genere dei circa 20mila eletti in Italia a livello comunale, regionale, nazionale ed europeo. I ricercatori hanno anche condotto interviste su oltre 2mila di questi rappresentanti, indagando lâeventuale variazione dei loro atteggiamenti verso alcuni temi caldi della politica contemporanea, come il populismo, lâimmigrazione e lâeuropeismo.
Certi risultati erano previsti, altri sono stati sorprendenti e in questa puntata ne parliamo con alcuni dei ricercatori impegnati nellâindagine: Luca Verzichelli, Sergio Martini e Marta Ponzo.
Gli appelli ad avere più donne ai posti di potere sono apparentemente mossi da buone intenzioni, ma finiscono sempre per suscitare critiche aspre, e non tanto per le possibili strategie politiche che possono celare, come nel caso delle elezioni per il Quirinale.
In effetti, se da un lato le invocazioni per un maggior numero di donne nelle istituzioni danno sostanza ai principi di non discriminazione e pari opportunità â che rientrano anche tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dallâAgenda 2030 delle Nazioni Unite â dallâaltro generano vari problemi.
In certi discorsi, lâessere donna sembra quasi essere un requisito, potremmo dire, curriculare, da aggiungere o persino sostituire ad altri, come il livello di istruzione, le competenze o lâesperienza professionale.
Ma è possibile, o giusto, intendere il genere in questo modo?
In altre parole: una donna può essere, solo in quanto tale, portatrice di istanze politiche precise o diverse da quelle di un uomo? E sulla base di cosa?
Il LAPS, Laboratorio di analisi politico sociali, e il CIRCAP, Center for the Study of Political Change dellâUniversità di Siena hanno realizzato il primo studio sulla composizione di genere dei circa 20mila eletti in Italia a livello comunale, regionale, nazionale ed europeo. I ricercatori hanno anche condotto interviste su oltre 2mila di questi rappresentanti, indagando lâeventuale variazione dei loro atteggiamenti verso alcuni temi caldi della politica contemporanea, come il populismo, lâimmigrazione e lâeuropeismo.
Certi risultati erano previsti, altri sono stati sorprendenti e in questa puntata ne parliamo con alcuni dei ricercatori impegnati nellâindagine: Luca Verzichelli, Sergio Martini e Marta Ponzo.