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    Favole e Fiabe

    Un podcast dedicato interamente alla lettura e scrittura di favole e fiabe in lingua italiana. Senz'ape il girasole non potrebbe fiorire rigoglioso. A lei guardiamo quando raccontiamo ai bambini, perché imparino ad illuminarsi, sempre.
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    Prova d'amore - Favola Africana Legge lagipe

    Prova d'amore - Favola Africana Legge lagipe
    Prova d'amoreFavola africana  C'era una volta un re che aveva una figlia ammirata da tutti per la sua bellezza e bontà.Molti venivano a offrirle gioielli, stoffe preziose, noci di kola, sperando d'averla come sposa. Ma la giovane non sapeva decidersi.- A chi mi concederai? - chiese a suo padre.- Non so - disse il padre - Lascio scegliere a te: sono sicuro che tu, giudiziosa come sei, farai la scelta migliore.       - Facciamo così - propose la giovane - Tu fai sapere che sono stata morsa da un serpente velenoso e sono morta. I membri della famiglia reale prenderanno il lutto. Suoneranno i tam-tam dei funerali e cominceranno le danze funebri. Vedremo cosa succederà.Il re, sorpreso e un po' controvoglia, accettò.La triste notizia si diffuse come un fulmine. Nei villaggi fu un gran parlare sommesso, spari di fucile rintronavano in segno di dolore, mentre le donne anziane, alla porta della stanza mortuaria, sgranavano le loro tristi melopee. Ed ecco arrivare anche i pretendenti della principessa. Si presentarono al re e pretesero la restituzione dei beni donati.- Giacché tua figlia è morta, rendimi i miei gioielli, le stoffe preziose, le noci di kola.Il re accontentò tutti, nauseato da un simile comportamento. Capì allora quanto sua figlia fosse prudente.           Per ultimo si presentò un giovanotto, povero, come appariva dagli abiti dimessi che indossava.Con le lacrime agli occhi egli disse:- O re, ho sentito la dolorosa notizia e non so come rassegnarmi. Porto queste stoffe per colei che tanto amavo segretamente. Non mi ritenevo degno di lei. Desidero che anche nella tomba lei sia sempre la più bella di tutte. Metti accanto a lei anche queste noci di kola perché le diano forza nel grande viaggio.Il re fu commosso fino al profondo del cuore. Si presentò alla folla, fece tacere ogni clamore e annunciò a gran voce:- Vi do una grande notizia: mia figlia non è morta. Ha voluto mettere alla prova l'amore dei suoi pretendenti. Ora so chi ama davvero e profondamente mia figlia. E' questo giovane! E' povero ma sincero.Dopo qualche tempo si celebrarono le nozze con la più bella festa mai vista a memoria d'uomo.I vecchi pretendenti non c'erano e non si fecero più vedere.

    La Falena e le Stelle di James Thurber - Legge Angela Rizzo

    La Falena e le Stelle di James Thurber - Legge Angela Rizzo
    LA FALENA E LA STELLA di James Thurber Una falena giovane e sensibile si invaghì una volta di una certa stella. Si confidò con sua madre, che le consigliò di invaghirsi piuttosto di un lume da salotto. “Le stelle non sono cose da starci dietro”, disse, “i lumi son le cose a cui bisogna star dietro.” “Solo così approderai a qualcosa”, disse il padre della falena, “se vai a caccia di stelle, non approderai mai a niente.”   Ma la falena non volle dar retta ai consigli di nessuno dei suoi genitori. Ogni sera, al crepuscolo, quando la stella spuntava, l’insetto spiccava il volo verso di essa; e ogni mattina, all’alba, si trascinava di nuovo a casa, sfinita dalla sua vana fatica.   Un bel mattino suo padre le disse: “Non ti sei bruciata un’ala da mesi, ragazza mia, e mi hai l’aria che non te la brucerai mai. Tutti i tuoi fratelli si sono bruciati malamente, svolazzando attorno ai lampioni, e tutte le tue sorelle si sono terribilmente ustionate svolazzando attorno ai lampadari. Andiamo, su, fila via di qui, e procurati una buona scottatura! Una falena grande e grossa come te, senza neppure una cicatrice!” La falena abbandonò la casa paterna, ma non volle saperne di svolazzare attorno ai lampioni e non volle saperne di svolazzare attorno ai lampadari. Tirò dritto per la sua via, ostinandosi a raggiungere la stella, che era alla distanza di quattro anni luce e un terzo; ossia di venticinque trilioni di miglia. La falena viceversa credeva che fosse soltanto impigliata fra i rami più alti di un albero. Non raggiunse mai la stella, ma non cessò di tentare, notte per notte, e quando fu diventata una vecchia, vecchissima falena, cominciò a illudersi di avere veramente raggiunto la stella e lo andava raccontando in giro. Ciò le procurava un piacere profondo e durevole, e visse fino a tardissima età. I suoi genitori, e i fratelli, e le sorelle, si erano tutti bruciati a morte in età ancora assai giovane.     Morale: Meglio sperar galline per domani, che avere un uovo putrido stamani.   (da La notte degli spiriti, trad. di A. Severino, Corbaccio, Milano, 1992)

    La gallina saggia - Angela Rizzo

    La gallina saggia - Angela Rizzo
    La saggia gallina  Dall’Asia centrale (Tajikistan) Un giorno una gallina stava becchettando e razzolando sotto un albero, fuori dal villaggio, quando uno sciacallo corse verso di lei. Era molto affamato e già si rallegrava al pensiero di una saporita pollastra per pranzo. Ma la gallina lo vide e volò sull’albero. - Buondì, piccola gallina, - disse lo sciacallo – hai sentito le ultime notizie? - Che notizie? – chiese la gallina. - Che notizie? La più grande notizia di tutti i tempi: tutti gli animali hanno fatto la pace tra loro. Ora gli animali sono amici, e nessuno deve più temere l’altro. Perciò puoi scendere tranquillamente da quell’albero, non ti mangerò. - Ma la gallina era saggia, sapeva in che conto tenere le parole dello sciacallo, e rispose: - Sono contenta di non doverti più temere, ma quassù c’è una vista migliore. Posso vedere tutte le strade del mio villaggio. – - E cosa c’è di speciale da vedere nel tuo villaggio? – le domandò lo sciacallo. - Nulla di speciale, solo un gruppo di cani che corre in questa direzione. - Come sentì ciò lo sciacallo balzò in piedi e scappò via. - Ma perché scappi? – gli gridò dietro la gallina. –Hai appena detto che tutti gli animali hanno fatto la pace tra loro! I cani non ti daranno nessun fastidio!- - Pensi che non conosca quegli stupidi cani del villaggio? Certamente non sanno ancora la notizia! – gridò lo sciacallo e sparì in un baleno.   (da Enciclopedia della favola. Estate, a cura di Gianni Rodari, Editori Riuniti)

    LA LEPRE CHE SCONFISSE IL LEONE di GIANNI RODARI - Legge ANGELA RIZZO

    LA LEPRE CHE SCONFISSE IL LEONE di GIANNI RODARI - Legge ANGELA RIZZO
    LA LEPRE CHE SCONFISSE IL LEONE di GIANNI RODARI Nel cuore della foresta viveva un grosso leone, malvagio e crudele. Faceva a pezzi ogni animale che incontrava, e gli abitanti della foresta erano terrorizzati dalla sua presenza. Un giorno decisero di implorare pietà da lui. L'elefante, la scimmia, la lepre e tutti gli altri andarono dal leone, si inchinarono e dissero: – Salve, potente re del Mondo degli Animali! Perché ci uccidi quando ci incontri? Hai già decimato la foresta: cosa mangerai quando saremo morti tutti? Abbi pietà di noi e non ucciderci piú, e noi ti promettiamo che ogni giorno ti manderemo una creatura da divorare. Il leone accettò la loro offerta. Il primo giorno gli mandarono per pranzo un elefante, e il leone se lo divorò tutto. Il giorno seguente una scimmia, poi un pappagallo, ed infine venne il turno della lepre.         Ma la lepre non aveva nessuna voglia di lasciarsi divorare, e meditava di ingannare il leone. Pensa e pensa, quando arrivò dal leone era già passato mezzogiorno. – Cosa hai fatto in tutto questo tempo? – ruggí il leone alla lepre. – Non sai a che ora mangio? – Sí, lo so, potente re del Mondo degli Animali, ma non è stata colpa mia se lui mi ha trattenuta cosí a lungo, – rispose la lepre. – Chi ti ha trattenuta? – ruggí il leone. – Il leone, – rispose la lepre. – Quale leone? Vuoi dire che c'è qualche altro leone, oltre me, in questa foresta? – Sí, Sire, e dice di essere piú forte di te, potente re degli Animali! Mi ha incaricata di dirti che quando ti incontrerà ti farà a pezzi e ti divorerà. – Cosa? – ruggí furibondo il leone. – Portami subito da questo leone, e gli mostrerò io chi è il piú forte! La lepre si avviò e condusse il leone ad un pozzo: – Potente Re degli Animali, guarda in questo pozzo, perché l'altro leone vive qui. Il leone guardò giú nel pozzo e vide effettivamente un leone. Digrignò i denti, lanciò un terrificante ruggito e si lanciò nel pozzo, dove naturalmente annegò. E cosí l'abile lepre ingannò il potente leone e salvò tutti gli altri animali della foresta.       Fiaba tratta da ENCICLOPEDIA DELLA FAVOLA Fiabe di tutto il mondo per 365 giorni Raccolte da Vladislav Stanovsky e Jan Vladislav Edizione italiana a cura di Gianni Rodari Editori Riuniti (www.editoririuniti.it) (I edizione collana Matite italiane: ottobre 2002) Traduzioni di Maria Lucioni Diemoz, Franco Prattico e Gianni Rodari Visual editor Alberto Ruggieri, Art director Luciano Vagaggini, Impaginazione Marco Spaziani ISBN 88-359-5288-3 Progetto a cura delle Biblioteche di Roma in collaborazione con gli Editori Riuniti immagini tratte da  http://www.webgraffiti.it/

    La Lepre e le Rane - Legge Primula

    La Lepre e le Rane - Legge Primula
    LA LEPRE E LE RANE   Le lepri, si sa, sono animali molto timidi, ma nel bosco ne viveva una che era più timida di tutte le sua compagne.Tremava di paura anche se vedeva cadere una foglia. Ogni volta immaginava che chissà quali nemici stessero per saltarle addosso.-Povera me!- esclamava sempre. -Sono sola e abbandonata da tutti! Nessuno che mi difenda! Se almenno potessi avere un po' di coraggio!Di coraggio, prorpio non ne aveva, e trascorreva tremando quasi tutta la giornata nascosta nella tana. Un giorno stava brucando un po' di erbetta tenera, quando un leggero rumore la fece trasalire. Era solo una ghianda caduta da una quercia, ma, come al solito, la lepre si sentì in dovere di fuggire. Mentre scappava verso la tana, passò vicino alla riva di uno stagno dove alcune rane riposavano al sole.Vedendo passare quella furia, le rane, spaventatissime, si tuffarono nell'acqua. Allora la lepre si fermò di colpo:-Come?- pensò -Le rane hanno avuto paura di me? Allora... allora anch'io valgo qualcosa!Apettò un po' di tempo e poi provò ad avvicinarsi di nuovo allo stagno, facendo un gran fracasso. Le rane fuggirono ancora.-Evviva, hanno proprio paura di me!- gridò la lepre quasi non credendo ai propri occhi. Tutta eccitata, si provò a spaventare le rane ancora un'altra volta. I poveri animaletti non facevano che tuffarsi in acqua, pieni di spavento. Da quel giorno la lepre non fu più timida come prima, anzi diventò prepotente con gli animaletti più piccoli di lei.

    I TRE CEDRI 1/3 - Legge Masaniello

    I TRE CEDRI 1/3 - Legge Masaniello
    I TRE CEDRI 1/3 di Ginabattista Basile     C'era una volta, tanto e tanto tempo fa, nella ricca città di Torrelunga, un re con un unico figlio, di nome Vincenzo, che era tutta la sua speranza. Non vedeva l'ora che si sposasse per dare un erede al trono, ma il principe era un tipo così solitario e selvaggio, che quando il re suo padre gli diceva di sposarsi scuoteva la testa, e se ne andava a caccia per una settimana. Accorgendosi di diventare vecchio, il povero re tentò in tutti i modi di convincere suo figlio a cambiare idea, ma Francesco non si lasciò commuovere né dal suo dolore, né dai consiglieri che gli spiegavano la necessità di assicurare un erede al trono, né dalle preghiere dei suoi sudditi. Ma un giorno, quando ormai il vecchio re aveva perso tutte le speranze, accadde che, mentre erano riuniti intorno alla tavola, il principe pensava alle cornacchie nere che passavano in cielo e tagliava a metà una ricotta: si tagliò un dito e due gocce di sangue, cadendo sulla ricotta, fecero un abbinamento di colori così bello e pieno di grazia che se ne innamorò. Decise di trovarsi una sposa bianca e rossa come quella ricotta colorata dal suo sangue, e disse al re: "Padre mio, se non riesco a trovare una fanciulla così per farne la mia regina, morirò di dolore. Per nessuna mi è mai battuto il cuore, e ora lo sento correre per il desiderio di una bellezza che abbia il colore del mio sangue. Fammi partire, la cercherò fino ai confini del mondo, e quando l'avrò trovata ritornerò". Il vecchio re si sentì mancare il fiato, e con un fil di voce gli disse: "Figlio mio adorato, speranza della mia vita, che pazzia è questa? Non hai voluto sposarti per darmi un erede al trono, e ora per sposarti vuoi vedermi morire di dolore? Non abbandonarmi, non lasciare la tua casa, lascia questa pazzia, rimani in questo reame che senza di te andrà in malora!". Ma era come se parlasse al vento, e quando vide che non c'era modo di farlo rinunciare al suo desiderio, il re gli diede una borsa di monete d'oro, qualche servitore, e la sua benedizione. Da un balconcino del suo palazzo il re guardò Francesco che si allontanava, lo salutò finché riuscì a vederlo col canocchiale, e poi si mise a piangere a vite tagliata. Il principe Francesco cavalcava e trottava per boschi e per campagne, per colline e per vallate, attraversava pianure e saliva su alte montagne, vedeva paesi e città e conosceva gente diversa, tenendo gli occhi ben aperti per trovare la fanciulla dalla pelle bianca come la ricotta e rossa come il suo sangue, ma inutilmente. Dopo alcuni mesi di viaggio, arrivò a una lontanissima città di mare, dove si fermarono i suoi servitori, perché si sentivano male, mentre il principe si imbarcò su un naviglio genovese, e navigò per tanto tempo. Viaggiò per i mari e per gli oceani, cercando in tutti i reami, le regioni e le province, guardando in ogni piazza, in ogni palazzo, in ogni villa, in ogni casupola, la fanciulla di cui portava sempre l'immagine nel cuore. E tanto navigò e viaggiò che arrivò finalmente all'Isola delle Orche, dove, appena la nave gettò l'ancora, il principe Francesco scese a terra e incontrò una vecchia, secca secca e brutta brutta. Il principe, dopo averla salutata gentilmente, le spiegò dopo quale lunghissima avventura era arrivato all'isola, e la vecchia rimase incantata, sentendo come si era innamorato perdutamente di una fanciulla che non aveva mai visto, ed era andato a cercarla per tutte le terre e per tutti i mari, affrontando tanti rischi e tante fatiche. Allora disse a Francesco: "Figlio mio, fila via, scappa, perché se dai nell'occhio a tre figli miei, che sono golosi di carne umana, la tua vita non varrà un soldo: tutta la tua avventura avrà fine nella loro pancia, dopo che ti avranno arrostito! ma se ti metti a correre come una lepre, senza metter tempo in mezzo, un po' più in là troverai la tua fortuna". Rabbrividendo dalla paura il principe Francesco seguì il consiglio della vecchia, e corse senza fermarsi finché non arrivò in un altro paese, dove trovò una vecchia ancora più vecchia della prima. Appena le ebbe raccontato la sua storia per filo e per segno, la seconda vecchia gli disse: "Scappa a gambe levate, se non vuoi diventare lo spuntino dei miei figli orchetti, ma corri, perché la tua situazione è proprio nera, e un po' più in là troverai la tua fortuna". Il povero principe si mise a correre come se avesse il diavolo alle spalle, e dopo un po' di tempo arrivò da un'altra vecchia, che stava a sedere su una ruota con un paniere infilato nel braccio, pieno di pastine e confetti. Dava da mangiare queste leccornie a un branco di asini, che poi saltavano in riva a un fiume e tiravano calci a dei poveri cigni. Francesco, dopo aver cortesemente salutato e riverito la vecchia con tanti inchini, le raccontò la storia del suo lungo viaggio, e la terza vecchia, consolandolo con buone parole, gli diede una squisita colazione, e Francesco si leccò anche le dita. Quando si alzò da tavola, la vecchia gli diede tre cedri che parevano appena colti dall'albero, e gli diede anche un coltello, dicendo: "Puoi tornare nel tuo reame, perché ormai la tua ricerca è finita: hai quello che cercavi. Va', e quando sarai vicino a Fiumefreddo fermati alla prima fonte che trovi e taglia un cedro, ne verrà fuori una fata che ti dirà: 'Dammi da bere!'. Dovrai essere sveltissimo con l'acqua, sennò la fata scomparirà come l'argento vivo. Se non sarai abbastanza svelto la prima volta, aprirai un altro cedro, e se non ce la farai nemmeno con la seconda fata prova con l'ultimo cedro, ma bada di essere prontissimo con la fanciulla perché non ti sfugga fra le dita: solo se riuscirai a dissetarla in tempo avrai la sposa del tuo cuore". Il principe tutto contento baciò cento volte la mano grinzosa e pelosa della vecchia, e dopo averla salutata lasciò l'Isola delle Orche, navigò per l'oceano e per il mare e finalmente approdò a un porto che era distante un giorno di cammino dal reame di Torrelunga.
    Favole e Fiabe
    it-itFebruary 28, 2010

    I TRE CEDRI 2/3 - Legge Masaniello

    I TRE CEDRI 2/3 - Legge Masaniello
    I TRE CEDRI 2/3   A un certo punto si trovò in un bellissimo boschetto, dove gli alberi erano così fitti che tenevano sempre all'ombra i prati e trovò una fonte dalle acque così fresche che invitavano a bere: si fermò, prese in mano il coltello e cominciò a tagliare il primo cedro. In un batter d'occhio apparve una fanciulla bellissima, bianca come la ricotta e rossa come il sangue, che disse: "Dammi da bere!". Francesco rimase a bocca aperta, incantato dalla bellezza della fata, non fu tanto svelto a darle l'acqua, e quasi nello stesso istante in cui era apparsa la fanciulla scomparve. Il principe si sentì come se lo avessero bastonato: come sa chi, dopo aver tanto desiderato e cercato una cosa, la perde proprio quando la sfiora con le dita. Tagliando il secondo cedro gli successe la stessa cosa, e sentì lo stesso colpo. Mentre dai suoi occhi sgorgavano tante lacrime che anche lui pareva una fontana, diceva: "Accidenti a me, sono proprio un disgraziato! due volte me la sono fatta scappare, due volte, come se fossi senza mani! dovrei correre come una lepre, e invece sono più lento di una lumaca! se non mi sveglio perdo tutto, dopo l'uno e dopo il due c'è solo il tre, e se con questo coltello non avrò la mia fanciulla, mi pianterò la lama nel cuore". Tagliò il terzo cedro e uscì la terza fata, dicendo come le altre due: "Dammi da bere!", ma questa volta Francesco nello stesso istante le diede l'acqua. Finalmente gli rimase accanto una fanciulla dalla pelle morbidissima e bianca come la ricotta, con le guance rosse come il sangue, di una bellezza mai vista al mondo, con i capelli d'oro fino, così affascinante che incantava chiunque la guardasse. Il principe non capiva com'era potuto succedere, e guardava al colmo della meraviglia quell'incanto venuto dal taglio del cedro, non sapendo se sognava o era desto, domandandosi come avesse fatto a uscire dal frutto asprigno una cosa più dolce del miele, come fosse venuta fuori da un frutto tanto piccolo una fanciulla così grande e ben formata. Alla fine, realizzando che non era solo un sogno, perché la fanciulla del suo desiderio era viva e vera accanto a lui, la abbracciò a lungo e la coprì di baci. Dopo mille tenerezze, il principe le disse: "Non voglio, anima mia, portarti dal re mio padre senza le vesti preziose che sono adatte alla tua bellezza e senza il corteo degno di una regina. Perciò, sali su questo albero di cedro dove i rami sembrano un nido pronto per te, e aspetta comodamente il mio ritorno. Io correrò al palazzo di mio padre come se avessi le ali ai piedi, e sarò presto di ritorno per condurti al palazzo reale, vestita, ornata e scortata come si conviene". Poi la salutò e partì. Proprio allora venne alla fonte una schiava brutta e nera con una brocca: mentre la riempiva, guardando nell'acqua, vide riflesso il bellissimo viso della fata, e credendo che quell'immagine fosse la sua si rimirò e disse: "Cosa vedono i miei occhi! Sono così bella e devo affaticarmi a riempire la brocca? ma neanche per sogno!". Presa dalla collera scaraventò sui sassi la brocca che andò in frantumi, e andò a casa. Alla sua padrona disse: "La brocca si è rotta sui sassi!". Il giorno dopo la schiava nera fu mandata ad attingere acqua con un barilotto, e appena si chinò sull'acqua rivide il bel viso. Sospirò e disse: "Una fanciulla bella come sono io non deve certo stancarsi a portare un barilotto d'acqua!", poi sfasciò il recipiente e tornò a casa brontolando. Quando disse: "Un asino per via mi ha rotto il barilotto", la padrona andò in collera, prese una scopa e la riempì di botte. Il giorno dopo le diede un otre e la rimandò alla fonte, dicendole che se questa volta non fosse tornata con l'acqua l'avrebbe sistemata. Ma, arrivata alla fonte, la schiava rivide la bellissima immagine riflessa nell'acqua, e gridò: "La mia bellezza non ha rivali! Dovrei sposare un principe, non stare qui a faticare per una padrona che mi maltratta: ora ci penso io". Si levò uno spillone dai capelli e tutta inviperita cominciò a bucare l'otre di qua e là, tanto che l'acqua zampillava da tutte le parti. Sul cedro la fata si era divertita vedendo cosa succedeva, e a quel punto non riuscì a trattenere una risata. La schiava allora guardò in su, vide la fanciulla tra i rami, e finalmente capì di chi era il bel viso che si specchiava nella fontana. Disse tra sé e sé: "Per colpa di quella ho rotto una brocca, una barilotto, un otre, ho preso le bastonate, e ora mi prende anche in giro", poi le chiese: "Che ci fai lassù bella fanciulla?". La fata, che era gentile quanto bella, le raccontò tutta la sua storia, e le spiegò che da un momento all'altro sarebbe tornato il principe per condurla a palazzo con vesti sontuose e un corteo regale. La serva pensò che poteva fare la sua fortuna, e le disse: "Mentre aspetti il tuo sposo, fammi salire sull'albero con te, ti pettino ben bene e ti faccio diventare ancora più bella!". Dopo averle detto: "Che tu sia la benvenuta, amica mia!", la fata porse la sua manina bianca e morbida alla schiava, che la agguantò con la mano secca e nera e si tirò su. Ma mentre le accarezzava i capelli, le piantò lo spillone nel capo, e la fata, sentendosi trafiggere, gridò: "Colomba, colomba!", e trasformatasi in una colombina bianca prese il volo. Allora la schiava nera si levò i suoi brutti vestiti, li scaraventò lontano, e si accoccolò fra i rami ad aspettare.

    I TRE CEDRI 3/3 - Legge Masaniello

    I TRE CEDRI 3/3 - Legge Masaniello
    I TRE CEDRI 3/3   Dopo poco tempo, con un corteo di dame e cavalieri, arrivò il principe Francesco, che trovando la brutta serva nera dove aveva lasciato la candida fata, rimase a lungo senza fiato. Poi prese a lamentarsi della sua disgrazia, perché quando credeva di aver raggiunto il suo paradiso dopo tanto peregrinare, si sentiva all'inferno, e mentre credeva di unirsi per sempre alla fata del suo cuore gli toccava una schiava così brutta che nessuno avrebbe voluto vederla. Ma la donna nera gli disse: "Ehi, principe! sta' buono, io sono fatata: un anno lo passo chiara e un anno lo passo scura". Il povero Francesco, visto che non c'era rimedio, mandò giù questo boccone amaro, e, fatta scendere dal cedro la schiava nera, la vestì, l'adornò da regina, e la condusse a palazzo in pompa magna. Quando la videro il re e la regina, si dissero che il loro unico figlio aveva viaggiato come un pazzo, per il mondo intero, per trovare una colomba bianca, e poi aveva portato a casa una cornacchia nera. Ma comunque, come avevano stabilito, rinunciarono al regno, e il principe Francesco ascese al trono mettendo la corona d'oro sul capo di una regina nera come il carbone. Si preparavano grandi festeggiamenti per le nozze, e mentre il cuoco, le fantesche e gli sguatteri correvano per le cucine reali spennando oche grasse, frollando fagiani, marinando cinghiali e caprioli, mescolando creme e besciamelle, montando panna e chiare d'uovo, tritando noci, mandorle, pinoli e canditi, una colombella bianca entrò da una finestra della cucina e disse:   Cuoco che cuoci da mane a sera, cosa fa il re con la donna nera?   Dapprima il cuoco non ci fece caso, ma la colombina tornò poco dopo, e quando lo fece per la terza volta, ripetendo sempre le stesse parole, il cuoco corse a tavola per raccontare di questa apparizione sorprendente. Appena sentì, la regina nera ordinò che la colomba fosse immediatamente catturata, spennata e gratinata in padella. Allora il cuoco si diede da fare, finché acchiappò la colombella, e, eseguendo l'ordine, le tirò il collo, la tuffò nell'acqua bollente per spennarla meglio, e la mise al fuoco. Buttò l'acqua e le penne nel vaso che stava su un balconcino, e dopo tre giorni spuntò un ramo di cedro che cresceva a vista d'occhio: il re affacciandosi a una finestra da quella parte vide il bell'albero che prima non c'era, e cominciò a domandare chi l'avesse piantato. Il cuoco gli raccontò tutta la meravigliosa storia della colombella, e il re Francesco, sospettando qualcosa, gli ordinò: "Nessuno osi toccare questa pianta, pena la vita! e fa' in modo che sia ben curata, di tutto punto!". Dopo pochi giorni apparvero tra i rami tre cedri come quelli che gli aveva dato l'orca: il re aspettò che fossero ben maturi, li colse, si chiuse in camera sua con una grande coppa d'acqua fresca, e, con il solito coltello che portava sempre alla cintura, cominciò a tagliare. Col primo cedro e col secondo gli capitò come l'altra volta, ma la terza volta fu pronto a dare l'acqua alla fanciulla nello stesso istante in cui gliela chiedeva, e gli rimase fra le braccia la più bella, uguale all'immagine che aveva sempre nel cuore, bianca come la ricotta e rossa come il suo sangue. Era la stessa fata che aveva lasciato sull'albero, e gli raccontò tutto il male che le aveva fatto la schiava nera. Nessuno riuscirebbe a raccontare l'allegria e la soddisfazione di Francesco, che non riusciva a stare nella pelle dalla contentezza, e non avrebbe mai smesso di abbracciare e di baciare la fata rinata dal cedro. Poi le fece indossare una veste regale, le pose un prezioso diadema sui biondi capelli, la prese per mano e la portò nel salone dove erano riuniti tutti i cortigiani per festeggiare le nozze. Li chiamò uno a uno, chiedendo loro: "Ditemi, che pena dareste a chi facesse del male a questa meravigliosa creatura?". I cortigiani e tutti i nobili invitati rispondevano che se qualcuno le avesse fatto del male avrebbe meritato una corda intorno al collo, o una sassaiola mortale, o un veleno, o il rogo, o di essere messo in una botte chiodata e rotolato lungo una montagna, o di essere buttato in mare con una pietra al collo. Infine il re lo chiese alla regina nera, e lei rispose: "Meriterebbe di essere bruciata e le sue ceneri andrebbero buttate dalla cima della torre!". "Tu hai pronunciato la tua condanna", disse il re Francesco, "è proprio questa la fanciulla che hai infilzato con lo spillone, è lei la colombella che hai fatto sgozzare e gratinare! chi fa il male, il male aspetti".

    La Zanzara e il Leone - Esopo - Leggono Maria, Roberta, Francesca, Masaniello

    La Zanzara e il Leone - Esopo - Leggono Maria, Roberta, Francesca, Masaniello
    LA ZANZARA E IL LEONE C'era una piccola zanzara assai furba e spavalda. Stanca di giocare con le solite amiche, decise un giorno, di lanciare una sfida al Re della foresta. Si presentò così davanti al sovrano che era il leone e lo salutò con un rispettoso inchino. Il grande Re che era intento a schiacciare uno dei suoi pisolini più belli lungo la riva di un fiume, lanciò una distratta occhiata all'insetto. "Oh! Buongiorno". Rispose Sua Maestà spalancando la bocca in un possente sbadiglio. La zanzara disse: "Sire, sono giunta davanti a Voi per lanciarvi una sfida!" Il leone, un po' più interessato, si risvegliò completamente e si mise ad ascoltare. 'Voi " continuò l'insetto "credete di essere il più forte degli animali eppure io dico che se facessimo un duello riuscirei a sconfiggervi!" Il Sovrano divertito disse: "Ebbene se sei tanto sicura,proviamo!" In men che non si dica il piazzale si riempì di animali d'ogni genere desiderosi di assistere alla sfida. Il " Singolar Tenzone" ebbe inizio. L'insetto andò immediatamente a posarsi sul largo naso dell'avversario cominciando a pungerlo a più non posso. Il povero leone preso alla sprovvista tentò con le sue enormi zampe di scacciare la zanzara ma, invece di eliminarla, egli non fece altro che graffiarsi il naso con i suoi stessi artigli. Estenuato, il Re della foresta, si gettò a terra sconfitto. Così, la piccola zanzara fu acclamata da tutti i presenti. Levandosi in volo colma di gioia, la zanzara non si accorse però della tela di un ragno tessuta tra due rami e andò ad imprigionarvisi proprio contro. Intrappolato in quell'infida ragnatela l'insetto scoppiò in lacrime, consapevole del pericolo che stava correndo. Fortunatamente il leone, che aveva assistito alla scena, con una zampata distrusse la tela e liberò la piccolina dicendo: "Eccoti salvata mia cara amica. Ricordati che esiste sempre qualcuno più forte di te! E questo me lo hai insegnato proprio tu!" La zanzara, da quel giorno imparò a tenere un po' a freno la propria spavalderia. Le persone troppo sicure di sé riescono, a volte, a superare gli ostacoli più grossi ma inciampano spesso nelle difficoltà più piccole.

    L'ELEFANTE PREPOTENTE - Teatron78

    L'ELEFANTE PREPOTENTE - Teatron78
    Una leggenda Africana: Perchè l'elefante è il più grande degli animali     Narra una leggenda africana che, all'origine del mondo, l'elefante aveva la statura degli altri animali, nonostante ciò era il più prepotente, voleva comandare su tutti ed essere servito e riverito come un re. Gli abitanti della savana, stanchi delle sue prepotenze, si riunirono di nascosto in assemblea e dissero: - Non vogliamo più sopportare le angherie dell'elefante, tutti noi viviamo nel terrore, ogni protesta e ogni ragionamento non sono serviti a niente. E' ora che facciamo qualcosa per fargli capire le nostre ragioni. Discussero a lungo fino a che, di comune accordo, decisero di dargli una sonora lezione. Invitarono il prepotente in un'ampia radura dove gli avevano apprestato un ricco banchetto per abbonirlo e per tenerlo occupato. L'elefante aveva accettato ben volentieri, tutto contento di essere così ossequiato; mentre era assorto a gustare il pranzo, gli animali lo circondarono e cominciarono a dargli tante botte con le zampe e con le corna sino a gonfiarlo tutto, da capo a piedi! Il malcapitato, alquanto malconcio, andò a tuffarsi nel vicino fiume per dare refrigerio alle tante ferite che aveva sul corpo.  Gli ci vollero parecchi giorni per guarire e, quando i dolori furono passati e le piaghe rimarginate, l'elefante, specchiandosi nell'acqua del fiume, vide che il suo corpo era rimasto tutto gonfio, enorme, pesante! Soltanto le orecchie erano rimaste come prima e certamente non facevano bella figura in quel suo grande testone! Era diventato il più grande animale della savana, ma il suo potere era finito! Ora non avrebbe più potuto comandare nemmeno sugli animali più piccoli perché la sua grande mole avrebbe ricordato a tutti la lezione avuta nella radura. E fu così che l'elefante, da quel giorno, prese a camminare con le orecchie abbassate… per la vergogna.
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