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    Coronavirus: I cattolici e la vera obbedienza

    Coronavirus: I cattolici e la vera obbedienza
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6119

    CORONAVIRUS: I CATTOLICI E LA VERA OBBEDIENZA di Aldo Maria Valli
    Se qui da noi, in Occidente, il blocco delle cerimonie religiose a causa del coronavirus ha provocato sofferenza in molti cattolici, all'Est ha anche riportato alla memoria i tempi delle persecuzioni anticattoliche, quando le chiese e le altre strutture religiose erano vuote perché i regimi comunisti, per motivi ideologici, impedivano il culto pubblico.
    "La visione terrificante delle chiese vuote mostra ciò che sarebbe potuto succedere se l'ostilità anticattolica avesse prevalso", ha detto una conduttrice radiofonica polacca manifestando il pensiero di numerosi suoi connazionali di una certa età, in grado di ricordare che cosa fu la persecuzione antireligiosa.

    MESSE INTERROTTE
    Anche nell'Europa dell'Est è successo, come da noi, che le forze dell'ordine siano intervenute per disperdere fedeli che, nonostante i divieti, si erano recati in chiesa per la Messa, e queste immagini hanno a loro volta riproposto ricordi alquanto spiacevoli, tanto più che alcuni sacerdoti sono stati multati per non aver rispettato le regole.
    In Romania il vescovo greco-cattolico Virgil Bercea, sessantadue anni, che per alcuni anni, prima della rivoluzione del 1989, fu sacerdote clandestino nella Romania comunista, ha dichiarato che il divieto di celebrare le Messe a causa della pandemia ha ovviamente provocato molte domande e suscitato dolorosi ricordi. "Prima della liberazione - ha sottolineato - le nostre case avevano preso il posto delle chiese. E ora che tutto è di nuovo chiuso ci troviamo in una situazione angosciante".
    In Ucraina, dove sono ancora consentite le funzioni religiose con un massimo di dieci fedeli, il Consiglio ucraino delle chiese e delle organizzazioni religiose, che comprende anche leader cattolici, il 9 aprile ha denunciato violazioni delle regole da parte della polizia, che in alcuni casi, interpretando le norme in modo restrittivo, ha preteso di chiudere completamente le chiese, e anche questi fatti hanno contribuito a riproporre situazioni che si sperava fossero consegnate al passato.
    In Russia il segretario generale della conferenza episcopale, monsignor Igor Kovalevsky, ha detto che in molti cattolici le norme per il contenimento della pandemia hanno suscitato "paure e associazioni di idee negative" e non è mancato chi ha contestato le regole.
    Chi ha vissuto sotto il comunismo ricorda bene come andavano le cose quando si poteva pregare solo in casa, senza far rumore, perché c'era sempre il rischio di poter essere denunciati.

    VESCOVI CORAGGIOSI
    All'epoca un grande aiuto venne dalla consapevolezza che c'erano pastori non disposti ad arrendersi, e le parole di quei grandi testimoni della fede possono dire qualcosa anche a noi oggi.
    È il caso del cardinale Stefan Wyszyński, il primate polacco che nel gennaio del 1953 sfidò il regime comunista, reagendo con una celebre lettera al diktat che revocava alla Chiesa la libertà di culto, e pagando la sua presa di posizione con il carcere.
    Nei suoi Appunti dalla prigione si legge: "Il peccato più grande per un apostolo è la paura; la paura di un apostolo è la prima alleata dei suoi nemici. La mancanza di coraggio è l'inizio della sconfitta per un vescovo".
    Nella lettera, firmata da tutto l'episcopato e inviata al governo, a proposito del divieto di culto era scritto: "Affermiamo che il suddetto decreto non può essere da noi riconosciuto come legittimo e vigente, giacché contrario alla Costituzione e alle leggi di Dio e della Chiesa [...]. Se dovessimo trovarci di fronte all'alternativa di sottomettere la giurisdizione ecclesiastica come uno strumento di governo civile oppure accettare un sacrificio personale, non vacilleremo [...]. Non possiamo sacrificare le cose di Dio sull'altare di Cesare! Non possumus!".
    Il 25 settembre del 1953 il cardinale fu arrestato dalle autorità comuniste e portato in carcere. Uscendo dal palazzo episcopale, disse a una suora che voleva preparargli un bagaglio: "Sorella, non porterò nulla. Sono entrato povero in questa casa e povero vi uscirò". Sarebbe rimasto in carcere per tre anni.
    Insieme a ricordi inquietanti, l'attuale situazione ci consente di riscoprire figure che possono insegnare davvero molto.
    È il caso anche dell'eroico cardinale Ján Chryzostom Korec, vescovo di Nitra, in Slovacchia, autore del libro La notte dei barbari.
    Ebbi la possibilità di conoscere il cardinale Korec e ricordo bene la passione con cui rievocava gli anni della Chiesa clandestina, costretta alle catacombe. Mi fece vedere alcune copie del samizdat che produceva in clandestinità e rievocò il periodo di isolamento in carcere, quando ripeteva ad alta voce interi brani di opere filosofiche e teologiche per non perderne la memoria.
    Sì, possiamo proprio dire che dall'Est ci arrivano testimonianze che possono esserci di grande aiuto per superare, con fede e dignità, questa fase difficile.

    Nota di BastaBugie: Benedetta Frigerio nell'articolo seguente dal titolo "A chi obbedire? Il beato Franz contro i vescovi proni allo Stato" parla del film sul beato Franz Jägerstätter (vedi foto), torturato e ucciso dal regime nazista a cui si oppose. Un film che ha da dire molto ai cattolici di oggi e che spiega quale sia la vera obbedienza.
    Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 26 aprile 2020:
    C'è una storia a cui la quarantena ha incollato diverse persone. Si tratta dell'ultimo capolavoro del regista Terrence Malick, "Hidden Life" ("La vita nascosta"), uscito negli Stati Uniti l'anno scorso e che avrebbe dovuto esordire nelle sale cinematografiche italiane questo mese. Molti hanno avuto la possibilità di vederlo in streaming. E forse non è un caso, perché la storia di questo contadino austriaco, che per fedeltà a Cristo si oppose al regime nazista morendo martire a 36 anni nell'agosto del 1943, ha qualcosa da dire al mondo contemporaneo, cattolico e non.
    Franz Jägerstätter, beatificato nel 2007 da papa Benedetto XVI, viveva con sua moglie e le tre figlie a Radegund, coltivando i campi e allevando bestie in mezzo allo spettacolo delle Alpi austriache. Bisogna ricordare che la vita di quest'uomo prima del matrimonio fu contraddittoria e libertina (ebbe una figlia a 26 anni con un'altra donna) e che la fedeltà alla verità può farsi eroica in persone da cui magari non ce lo si aspetterebbe.
    A 29 anni sposò Franziska Schwaninger, che cambiò completamente la sua vita, ordinandola e scandendola fra lavoro, preghiera e lettura della Bibbia. Fu proprio la conoscenza di Cristo a portarlo, tre anni dopo le nozze, a decidere di non assumere incarichi istituzionali nel suo paese, dove fu l'unico a votare contro il plebiscito di annessione alla Germania, motivo per cui cominciò ad essere emarginato dalla sua comunità.
    Nel 1940 fu arruolato ma conoscendo i programmi eugenetici del Partito nazista si convinse ancora di più che l'obbedienza alla fede e alla verità, illuminata dall'incontro con Gesù, era incompatibile con la sottomissione al governo. Perciò, rifiutandosi di combattere quando fu richiamato nell'esercito nel febbraio del 1943, venne arrestato.
    Jägerstätter non disobbedì solo alle autorità civili, ma anche a quelle religiose. Sia il parroco della sua chiesa sia il suo vescovo, Josephus Calasanz Fließer, lo spinsero a desistere dall'obiezione di coscienza: secondo loro il Signore non poteva volere che con la sua condotta mettesse a rischio non solo la sua vita, ma anche quella della sua famiglia, che infatti pagò cara la sua scelta, pur sostenendola.
    Ricordiamo che Radegund era un paese di cattolici praticanti, ma che in nome del "buon senso" e dell'obbedienza ai superiori, a cui pure il Vangelo richiama, appoggiati da alcuni curati e vescovi, chiusero gli occhi sui soprusi del governo. Infatti, il beato scrisse: «Il Cristo ha rimproverato a Pietro di averlo rinnegato per paura e per rispetto umano», mentre disse al suo parroco in una lettera: «Devo annunciarLe che forse perderà uno dei Suoi parrocchiani... Poiché nessuno può ottenere che io venga dispensato dal compiere una cosa che metterebbe in pericolo la mia salvezza eterna».
    La ribellione del beato alle autorità anche ecclesiastiche la giustificò negando che l'obbedienza richiesta dal Vangelo sia senza eccezioni: «I comandamenti di Dio ci insegnano che dobbiamo prestare obbedienza ai nostri superiori, anche se non sono cristiani, ma solo finché non ci ordinano qualcosa di sbagliato, poiché dobbiamo obbedire più a Dio che agli uomini».
    A dire, con il santo cardinale Newman, che prima del Papa c'è la coscienza. Il che non è un invito a vivere da "cattolici adulti" (ossia secondo le proprie opinioni e voglie), ma a seguire la verità rivelata da duemila anni di Magistero a cui il Papa stesso si deve sottomettere. Verità che, come tutti, anche i prelati possono tradire al pari di Pietro.
    «L'uomo ha in realtà una Legge scritta da Dio dentro al cuore... e secondo questa egli sarà giudicato», dice la Costituzione pastorale Gaudium et spes. Questa verità, continua l'enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor, «è indicata dalla "Legge divina"», norma universale e oggettiva della moralità», il cui nucleo sta nei Dieci Comandamenti: «Non avrai altro Dio fuori di me... Ricordati di santificare le feste... Non uccidere»; e che si riassume nel comandamento di Gesù di amare Dio e il prossimo.
    I mesi di carcere e quelli dopo la morte (fu ghigliottinato) di Jägerstätter, dovuta proprio alla sequela dei Comandamenti, furono uno strazio per la moglie appena trentenne con tre figlie piccole da crescere: la gente smise di aiutarla nei campi, le bimbe venivano schernite e isolate, il partito le tolse ogni sussidio economico. Ma prima di morire, a sua moglie e a sua madre (che invece cercò di opporsi alla sua scelta), il beato scrisse:«Avrei tanto voluto risparmiarvi questa sofferenza che dovete sopportare per causa mia.

    Acopalipse Viral EP06 - Dia do Trabalhador

    Acopalipse Viral EP06 - Dia do Trabalhador
    Nesse episódio falamos especialmente sobre o dia 1 de Maio, o dia do trabalhador. Tratamos do tema trabalho durante a Covid19 e do recente relatório da OIT - Organização Internacional do Trabalho, bem como das possibilidades do trabalhador e do sistema econômico capitalista após a crise que estamos passando.

    A coluna Cultura no apocalipse do@pauloboriga de hoje fala sobre o baterista Tony Allen.

    EP 05- Você é um Moro ou um rato?

    EP 05-  Você é um Moro ou um rato?
    Nesse episódio falamos da redução drástica dos preços do petróleo nos EUA e também das manifestações fascistas conservadoras do domingo passado. Falamos também sobre a bomba do dia: o pedido de demissão que, aparentemente nunca houve, do "super ministro" Sergio Moro e seus possíveis desdobramentos durante o final da semana que se encerra.
    Na Coluna Cultura no Apocalipse do Paulo Borgia (@borgiamusik e @pauloborgia), ele nos apresenta o escritor Luiz Antonio Simas, que trata sobre assuntos diversos em suas redes sociais, como samba, futebol, religião. Instagram: @luizantoniosimas.

    La direttrice del pronto soccorso di Wuhan: " Denuncia il Coronavirus a dicembre, ma sono stata zittita e punita"

    La direttrice del pronto soccorso di Wuhan: " Denuncia il Coronavirus a dicembre, ma sono stata zittita e punita"
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6063

    LA DIRETTRICE DEL PRONTO SOCCORSO DI WUHAN: ''DENUNCIAI IL CORONAVIRUS A DICEMBRE, MA SONO STATA ZITTITA E PUNITA'' di LEONE GROTTI
    Se il Partito comunista cinese avesse ascoltato Ai Fen a dicembre, forse ora l'epidemia di coronavirus non sarebbe così diffusa. Invece l'hanno criticata, zittita e le hanno intimato di «non diffondere voci». Così tutto è degenerato con rapidità impressionante. La direttrice del pronto soccorso dell'ospedale Centrale di Wuhan ha rilasciato martedì un'intervista esplosiva al magazine cinese Renwu, che ora le autorità stanno cercando in ogni modo di censurare. «Se avessi saputo che cosa sarebbe successo, me ne sarei infischiata dei rimproveri da parte dei miei superiori», ha dichiarato. «Ne avrei fottutamente parlato a chiunque e dovunque».
    Il 30 dicembre, dopo settimane passate a visitare decine di malati affetti da una strana influenza resistente alle normali cure, Ai ha ricevuto dal laboratorio i risultati delle analisi fatte su un paziente. Nel rapporto c'era scritto "Sars coronavirus". Ai sudò freddo e avvisò subito il responsabile del reparto di pneumologia, che non fece nulla. Poi cerchiò il risultato, fece una foto al rapporto e la inviò ad altri otto colleghi in diversi ospedali di Wuhan.
    La stessa notte, Ai ricevette un messaggio dal suo ospedale che le intimava di non diffondere informazioni intorno alla malattia misteriosa «per evitare il panico». Due giorni dopo, il capo del comitato di Partito interno all'ospedale la rimproverò per aver «diffuso voci e messo in pericolo la stabilità» e le vietò di diffondere messaggi o immagini relative al virus. «Mi fece sentire come se fossi io a rovinare il futuro di Wuhan. Mi stava punendo solo per aver fatto il mio lavoro. Ma come potevo non dire niente a nessuno davanti a un nuovo virus così pericoloso? Io avevo solo seguito il mio istinto di medico. Se solo potessi tornare indietro, lo direi a tutti: i miei colleghi non sarebbero morti».

    NO ALLE MASCHERINE
    Ai Fen, proprio come Li Wenliang (morto il 6 febbraio per aver contratto il virus dopo aver denunciato l'epidemia, senza che le autorità lo ascoltassero), obbedì alle autorità ma chiese almeno il permesso di vestire maschere e camici protettivi. Il capo dell'ospedale le rispose di no, perché questo avrebbe potuto allarmare la popolazione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: quattro colleghi di Ai dell'ospedale, compreso Li, sono morti e molti altri si sono ammalati.
    «Sempre più pazienti arrivavano al pronto soccorso mentre il raggio dell'infezione si allargava», continua Ai nell'intervista. «Era evidente che il virus poteva essere trasmesso dalle persone». Il 21 gennaio, nota il Guardian, quando le autorità cinesi hanno confermato il pericolo per il nuovo virus, al pronto soccorso dell'ospedale Centrale di Wuhan arrivavano già oltre 1.500 pazienti al giorno, contro una media usuale di neanche 500.
    La direttrice del pronto soccorso ricorda il caso di un uomo che guardava fisso nel vuoto mentre un medico gli consegnava il certificato di morte del suo figlio 32enne, quando ancora non si computavano i registri delle vittime del coronavirus. O quello di un padre così malato che non riusciva neanche a scendere dall'automobile. Quando Ai gli si fece incontro per aiutarlo, lui le morì davanti. La dottoressa ha raccontato tutte queste esperienze senza preoccuparsi delle possibili ripercussioni, ma da due giorni, cioè da quando l'intervista è stata pubblicata in Cina, nessuno ha più sue notizie.

    EDUCHIAMO WUHAN A RINGRAZIARE IL PARTITO
    Se il regime comunista, invece che punire Ai, Li e altri sette medici, avesse dato loro retta forse avrebbe evitato la morte di migliaia di persone. Ma era troppo impegnato a difendere la propria immagine e a non compromettere la riunione provinciale del Partito a Wuhan (7-17 gennaio). Avrebbe almeno potuto ringraziare i medici che hanno affrontato la crisi in prima linea, mentre i vertici del Partito comunista se ne stavano comodamente al riparo a Pechino (il segretario generale e presidente Xi Jinping si è fatto vedere per la prima volta martedì dopo un mese e mezzo).
    Invece no, nessun ringraziamento. Anzi, il segretario del Partito di Wuhan, Wang Zhonglin, ha lanciato un'inedita campagna per «educare la popolazione a mostrare gratitudine verso il Partito comunista». Cioè lo stesso Partito che, elogiato in Italia da tanti ammiratori, ha causato la diffusione dell'epidemia in Cina, silenziando per oltre un mese e mezzo tutti coloro che hanno cercato di avvertire la popolazione del rischio che correva.
    La campagna di «educazione alla gratitudine», che ha fatto infuriare i cittadini di Wuhan - tanto che il segretario provinciale del Partito, Ying Yong, è dovuto intervenire a mettere una pezza definendoli «eroi» -, è in questi giorni accompagnata da una seconda campagna di propaganda. Quella finalizzata a mettere in dubbio che il coronavirus di Wuhan sia un virus "cinese". Il primo a suonare lo spartito scritto da Pechino è stato l'ambasciatore cinese in Sud Africa, Lin Songtian: «Studi di scienziati di tutto il mondo confermano che ancora non si conosce l'origine del Covid19. L'Oms ripete che bisogna evitare qualunque stigmatizzazione» nei confronti della Cina. Zhang Ping, console generale della Cina a Los Angeles, ha aggiunto in un editoriale sul Los Angeles Times: «Nell'era della globalizzazione virus come questo ci insegnano che le epidemie non hanno confini. Contro la Cina ci sono attacchi ideologici e razzisti». La battaglia del regime contro la realtà procede a passo spedito.

    Coronavirus: l'autoritario regime cinese ha favorito la diffusione della pandemia

    Coronavirus: l'autoritario regime cinese ha favorito la diffusione della pandemia
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6051

    CORONAVIRUS: L'AUTORITARIO REGIME CINESE HA FAVORITO LA DIFFUSIONE DELLA PANDEMIA di LEONE GROTTI
    Oggi che l'Italia è in enorme difficoltà nel contenere l'epidemia di coronavirus, spuntano come funghi gli elogi al «sistema autoritario cinese». Il regime ha quasi fermato il contagio: ieri si sono registrati appena 20 nuovi casi, contro gli oltre 3.000 di un mese fa, e neanche uno fuori dall'Hubei, la provincia che ospita l'epicentro dell'epidemia, la città di Wuhan. Qui i suoi 11 milioni di abitanti da un mese non possono uscire di casa e le strade assomigliano a quelle di una città fantasma. Circa 60 milioni di persone sono state messe in quarantena in tutto il paese, 14 ospedali sono stati costruiti in pochi giorni per accogliere i nuovi malati e chi nasconde i sintomi dell'infezione può essere condannato a morte. L'approccio estremo di Pechino è stato definito «coraggioso» dall'Oms, che l'ha valutato come «lo sforzo di contenimento della malattia più ambizioso, agile e aggressivo della storia», mentre per il Corriere della Sera il modello cinese è «da seguire».

    SE IL MONDO È NEI GUAI È COLPA DEL REGIME
    È vero che l'assenza di democrazia ha permesso ad esempio al governo cinese di sospendere il campionato di calcio, causando perdite milionarie ai club, senza incassare proteste di alcun tipo e di mettere in quarantena 60 milioni di persone senza che nessuno battesse ciglio. Ma la natura autoritaria del governo cinese, così efficiente quando si tratta di obbligare e reprimere, è anche quella che ha permesso al virus di circolare indisturbato per almeno due mesi. Se oggi l'Italia (e presto la Francia, la Germania e chissà quanti altri paesi) si trova in ginocchio è perché a inizio dicembre la Cina non ha rivelato la presenza di abitanti di Wuhan in ospedale con gravi sindromi respiratorie simili a quelle causate dalla Sars.
    Ed è sempre per colpa del sistema autoritario cinese che quando un medico, Li Wenliang, oggi osannato da tutti i media cinesi e del mondo, si è accorto dell'esistenza di un nuovo virus e ha avvertito i suoi colleghi, invece che essere ascoltato, è stato convocato da polizia e Partito comunista che gli hanno ordinato di negare tutto. Il sistema autoritario cinese non voleva fare brutta figura, soprattutto in un momento in cui doveva svolgersi il congresso provinciale del Partito a Wuhan, e voleva preservare se stesso a discapito della salute della popolazione.

    LE AUTORITÀ MENTONO
    E perché, nonostante gli ospedali di Wuhan fossero da giorni strapieni e senza più posti, nessun giornale ha lanciato l'allarme? Perché il sindaco della città non ha detto nulla fino al 23 gennaio, permettendo a tutti i suoi abitanti di uscire liberamente da Wuhan e infettare l'intero territorio della Cina e di conseguenza i paesi di tutto il mondo (perché il contagio è partito dalla Cina, cara Cnn, non dall'Italia)? Semplice: perché il sistema autoritario cinese ha impedito la diffusione di informazioni, sia da parte della stampa che delle autorità locali, fino a quando il segretario del Partito comunista Xi Jinping non ha lanciato l'allarme il 23 gennaio. La Cina ha già avuto 80.924 casi e 3.136 decessi. [...]
    Oms e giornali si sperticano in lodi al sistema della quarantena cinese, ma non si chiedono perché quando venerdì 6 marzo la vicepremier Sun Chunlan si è recata a Wuhan per verificarne l'andamento, centinaia di persone si sono arrischiate ad affacciarsi dai balconi dei palazzi blindati per gridare: «Falsità, solo falsità, le autorità mentono». I cinesi non capiscono e non vedono quanto il loro sistema sia desiderabile? Il punto è un altro: i cinesi conoscono davvero il sistema e non si fermano agli specchietti per le allodole.

    QUANTE PERSONE ABBANDONATE IN QUARANTENA
    Quante persone, infatti, come il nonno di Zhang Bella, si sono ammalate a Wuhan, hanno cercato invano posto in ospedale, non hanno mai fatto il tampone nonostante presentassero tutti i sintomi del Covid-19 e sono stati messi frettolosamente in quarantena, abbandonati dalle autorità e morti da soli nel letto di casa? Il signor Zhang è stato immediatamente cremato da un'agenzia funebre senza che la sua morte fosse ascritta al virus. L'Oms elogia il governo comunista perché in Cina il coronavirus avrebbe un tasso di mortalità di appena il 3,8%, mentre in Italia già sfiora il 5%. Ma com'è possibile credere alle cifre di Pechino? Quanti signor Zhang ci sono stati in Cina?
    A Lianshui, nella provincia dello Jiangsu, un'intera famiglia è stata blindata in casa con sbarre di metallo dalle autorità locali. Sulla porta è stato appeso il cartello: «In questa casa vive una persona rientrata da Wuhan. È vietato toccare». La famiglia ha confessato che sarebbero tutti morti di fame se un vicino, mosso a compassione, non gli avesse calato dal balcone del cibo. Simili metodi di quarantena forzata sono stati applicati in tutta la Cina da zelanti funzionari del Partito. Quante famiglie non hanno avuto la stessa fortuna di quella di Lianshui e sono decedute? Non lo sappiamo, ma come si fa a elogiare la quarantena con caratteristiche cinesi davanti a simili eccessi?

    GUARITI... EPPURE MORTI
    E ancora, c'è bisogno di ricordare la vicenda di Yan Xiaowen, chiuso in quarantena insieme al figlio minore e costretto ad abbandonare il figlio maggiore, affetto da paralisi cerebrale, in casa da solo? Le autorità locali della contea di Hongan (Hubei) avevano giurato al padre che si sarebbero presi cura di lui, invece l'hanno lasciato morire di fame in mezzo ai suoi escrementi. «La verità è che è morto e basta», hanno risposto i funzionari del partito locale all'inchiesta seguita al caso. Quante persone, come il figlio di Yan Xiaowen, sono morte per colpa di un sistema autoritario tanto efficiente quanto disumano?
    Circa 57 mila persone sono guarite in Cina dal Covid-19, eppure ci sono delle storie che portano a dubitare dei numeri ufficiali rilasciati dalle autorità. Li Liang, come raccontato da Caixin, è stato dichiarato definitivamente guarito il 25 febbraio e posto in quarantena a Wuhan per altre due settimane, come previsto dagli stringenti regolamenti tanto elogiati dai giornali. In quarantena ha cominciato a sentirsi male di nuovo, ma nessun medico lo ha visitato perché il suo caso era risolto e il 5 marzo è stato trovato morto nella sua stanza di hotel dalla moglie. Le tac presentavano ancora problemi ai polmoni ma Li Liang era stato dimesso ugualmente e oggi è ancora contato dalla Cina come un caso medico di successo. Quante persone come Li Liang si trovano tra quei 57 mila "guariti"?

    ECCO COME "RIPARTE" L'ECONOMIA IN CINA
    Tutti questi dettagli ovviamente non sono mai menzionati da chi liscia il pelo al regime comunista in Cina e poi denuncia il pericolo fascismo in Italia. L'unico problema della quarantena a oltranza riguarderebbe i suoi effetti nefasti sull'economia. Ma Pechino ha dichiarato che l'economia in Cina è già ripartita, fornendo a tutto il mondo dati inequivocabili. Peccato che, ha scoperto Caixin, i numeri sono tanto affidabili quanto quelli delle persone guarite che si godono la convalescenza al cimitero. Infatti, hanno rivelato molti imprenditori al giornale, il governo centrale calcola la ripresa economica di fabbriche e aziende in base al consumo di energia. Per questo, chiede a tutti i segretari locali del Partito comunista di rispettare certe quote di elettricità consumata. I segretari si rifanno sui proprietari delle aziende, che a loro volta azionano e fanno andare anche tutta la notte macchinari, luci e condizionatori. Le aziende però restano vuote e i dipendenti a casa per mancanza di lavoro. Così le quote sono rispettate e l'economia riparte sulla carta anche se nella realtà non cambia niente. «Falsità, solo falsità», come gridavano gli abitanti di Wuhan a Sun Chunlan.
    Se a queste storie aggiungiamo che quei medici, giornalisti, professori universitari e singoli cittadini che hanno provato a denunciare sia l'epidemia sia gli errori del governo sono stati arrestati, forse ai tanti leoni da tastiera che popolano il web nostrano non conviene molto elogiare il sistema autoritario cinese. Il governo italiano deve migliorare la gestione dell'emergenza, smettendola di inviare segnali contrastanti e confusi, certo, la gente deve comprendere la gravità della situazione e rispettare le direttive, senza dubbio, ma se proprio dobbiamo rifarci a un modello guardiamo alla Corea del Sud. E lasciamo perdere la Cina, dove il virus è stato bloccato dall'eroismo dei cinesi di Wuhan e non dal governo.

    Titolo originale: Coronavirus, il modello cinese ha causato il disastro. Altro che imitarlo
    Fonte: Tempi, 11 marzo 2020
    Pubblicato su BastaBugie n. 656

    Il dittatore buono (e cattolico) Francisco Franco: riesumato il corpo per spregio

    Il dittatore buono (e cattolico) Francisco Franco: riesumato il corpo per spregio
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5863

    IL DITTATORE BUONO (E CATTOLICO) FRANCISCO FRANCO: RIESUMATO IL CORPO PER SPREGIO di Gabriel Ariza
    Che un governo socialista in funzione faccia di tutto per dissotterrare un cadavere che giace da 44 anni nella sua tomba in vista delle elezioni è macabro. E senza dubbio in Spagna il presidente del governo Pedro Sanchez sa che l'esumazione di Francisco Franco, il dittatore che fu capo di Stato prima della restaurazione della democrazia in Spagna, è per l'ideologia che rappresenta, una vittoria postuma e simbolica: 22 telecamere al Valle de Los Caidos, una unità mobile, 3 troupe televisive a Mingorrubio, dove dovrà essere inumato, e la diretta di tutti i dettagli da tutti gli angoli per diverse ore.
    Però questo gesto rappresenta molte altre cose a cominciare dalla pretesa di questa riconciliazione tra gli spagnoli tra le 2 Spagne che si scontrarono nella nostra ultima guerra civile sulla quale si basava il regime democratico nato nel 1978 e per proseguire con, fatto non minore, la l'invasione della Guardia Civìl nell'abbazia benedettina e nella chiesa annessa dove riposavano i resti mortali di Franco: questo porta alla memoria quello che fu il più grande massacro ecclesiastico che l'Europa abbia mai conosciuto, con almeno 7.000 preti assassinati, un numero incalcolabile di fedeli, centinaia di chiese, conventi e monasteri dati alle fiamme fino alle fondamenta, immagini sacre e tombe profanate e le più spaventose bestemmie pubbliche. È questo - solo in parte - quello che rende così inescusabile e codardo il silenzio della Chiesa spagnola.
    Franco non fu un dittatore nato. Non fu mai un politico affascinante, né un militare con ambizioni politiche. Di fatto, grazie al suo enorme prestigio militare, fu richiesto in varie occasioni precedenti per partecipare a tentativi di colpo di stato e si negò sempre, adducendo che aveva prestato giuramento di lealtà alla Repubblica. E neppure si intestò la rivolta che scatenò la guerra civile, ma solo la morte del leader, il generale Mola, fu scelto per guidare le truppe della nazione.

    L'UNDICESIMA SANTA CROCIATA
    Franco si sentì liberato dal suo giuramento solo quando la Repubblica fu ridotta al caos nel quale una parte della Spagna si dedicava a liquidare fisicamente l'altra parte. La rivolta era in definitiva la reazione di una parte di popolazione che non voleva morire. E, come fervente cattolico, Franco non poteva assistere impassibile alla distruzione della chiesa in Spagna. D'altra parte, così è esattamente come la Chiesa universale lo ha visto. Pio XII ha riconosciuto «il difficile compito di restaurare i diritti di Dio e della religione. Il popolo spagnolo si è alzato deciso a difesa degli ideali della fede e della civiltà cristiana", disse Papa Pacelli, quando chiamò l'alzamiento "Santa crociata", l'undicesima.
    E non fu l'unico pontefice ad elogiare Franco, che fu insignito del Supremo ordine di Cristo, la massima onorificenza vaticana. Così il successore di Pio XII, il recentemente canonizzato Giovanni XXIII dirà: «Franco fa leggi cattoliche, aiuta la Chiesa, è un buon cattolico, che cosa gli si può chiedere di più?». E Paolo VI, il quale e ebbe gravi attriti con il regime, nonostante questo, dichiarò che "Franco ha fatto molto bene alla Spagna e l'ha preparata per uno sviluppo straordinario in una epoca di pace. Franco merita un congedo glorioso e un ricordo pieno di gratitudine».
    Ma soprattutto come attesta il testamento, Franco è stato un fervente cattolico non era affatto un opportunista della fede, bensì un fedele che poneva la sua fede al centro della vita.
    Queste sono le prime parole del testamento che lasciò a tutti gli spagnoli, singolare per un qualunque dittatore del XX secolo: "All'arrivo dell'ora per me in cui rendere la vita all'Altissimo e comparire davanti al suo inappellabile giudizio chiedo a Dio che mi accolga benigno alla sua presenza, perché ho vissuto e sono morto cattolico. Nel nome di Cristo mi onoro e è sempre stata mia volontà costante essere figlio della Chiesa nel cui seno vado a morire". [...]
    Franco ha cercato in ogni momento di applicare al governo di Spagna in tutta la sua completezza la dottrina sociale della Chiesa, introducendo prestazioni sociali e diritti del lavoro sconosciuti fino ad allora nella legislazione spagnola, incluso la Repubblica, la maggior parte delle quali sono tuttora in vigore. [...]

    IL PECCATO DI INGRATITUDINE DEI VESCOVI DI OGGI
    Non un solo vescovo spagnolo ha alzato la voce contro gli affronti che non solo hanno attentato ai diritti della famiglia del defunto, ma contro la libertà religiosa della Chiesa in Spagna. Un'altra volta.
    Solo il priore dell'abbazia del Valle, Santiago Cantera, ha osato sfidare tutti i poteri dello Stato e l'opinione comune in difesa dei diritti della Chiesa e della famiglia, senza contare su alcun appoggio dei suoi fratelli nella gerarchia, i quali al contrario, hanno dato il loro via libera alla esumazione.
    Però se anche trascurassimo questa codardia, è completamente inammissibile quello che è accaduto e che può convertirsi in un terribile precedente per la Chiesa spagnola. Nonostante il rifiuto del priore ad esempio, la Guardia Civìl è entrata armata nell'abbazia e nella chiesa senza un ordine giudiziario. Come può tacere la Conferenza episcopale spagnola a un assalto del genere? Che legittimità le rimane se neppure protesta davanti alla perquisizione da parte dell'autorità civile di uno spazio di culto col Santissimo presente?
    La conferenza episcopale spagnola si è trasformata da molto tempo in una burocrazia più interessata a mantenere una sempre minor quota di potere, piuttosto che a rappresentare il messaggio evangelico o almeno a difendere i diritti della fede di fronte alla volontà del principe. Le sue lotte sono tutto sommato delle briciole con le quali i governi che si succedono la tengono addomesticata e docile: l'insegnamento della religione, l'esenzione del pagamento dell'IBI, la decima nella dichiarazione dei redditi. Questo insieme di prebende sono a volte il bastone e la carota che converte l'episcopato spagnolo in una blanda e timorosa macchina di consenso politico.
    Chiunque conosca minimamente la storia della Spagna può testimoniare che questo silenzio con il quale i vescovi credono di comprare la conservazione dei loro privilegi, è in realtà un passo fatale. Il nostro Paese ha una tortuosa relazione con il clero. Infatti, dello spagnolo si dice che "va sempre dietro al prete: o con una candela o con un bastone". La Sinistra spagnola ha l'anticristianesimo nel suo DNA e l'ha già testato nel sangue con questo assalto impunito è incontestabile. Si sbagliano quelli che pensano che questa profanazione sia la fine. È solo il principio di qualcosa di molto peggiore.
    (Traduzione di Andrea Zambrano)

    Il regime cinese festeggia i successi del comunismo... ma dimentica i 40 milioni di morti

    Il regime cinese festeggia i successi del comunismo... ma dimentica i 40 milioni di morti
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5854

    IL REGIME CINESE FESTEGGIA I SUCCESSI DEL COMUNISMO... MA DIMENTICA I 40 MILIONI DI MORTI di Leone Grotti
    «Il popolo cinese si è alzato in piedi!». Con queste parole passate alla storia settant'anni fa, l'1 ottobre 1949, Mao Zedong annunciava a Pechino in Piazza Tienanmen la nascita della Repubblica popolare cinese. Per commemorare l'avvento al potere del regime comunista, questa mattina un'enorme parata militare con 15 mila soldati, carri armati e missili balistici sfilerà per viale Chang'an sotto gli occhi di un pubblico scelto dal regime, dell'apparato gerarchico comunista al gran completo e ovviamente del segretario generale del partito comunista, nonché presidente a vita della Cina, Xi Jinping.

    IL SOGNO CINESE
    Da settimane Xi è impegnato nelle celebrazioni e gira tutto il paese per magnificare i successi del regime, il "sogno cinese", che rimane il suo slogan preferito, e il socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era, programma lanciato nel 2012. Ieri, in Piazza Tienanmen, Xi si è inchinato tre volte davanti al mausoleo dove si trova la salma di Mao, mentre pochi giorni fa il presidente si è recato a Xinyang (Henan), prefettura della Cina centrale, per tributare i dovuti onori al mausoleo che ricorda i nomi dei 130 mila combattenti dell'Esercito popolare di liberazione morti durante la guerra civile.
    Qui Xi ha esaltato le decine di migliaia di «martiri» rivoluzionari che hanno «conquistato questa terra rossa riscattandola con il proprio sangue». Dobbiamo sempre «ricordarci da dove proviene il potere rosso e commemorare la memoria dei nostri martiri», ha aggiunto. Xi ha poi lodato il fulgido passato della Cina, che prelude a un futuro ancora più prospero, e ricordato i meriti delle riforme del partito comunista nel portare «felicità e successo» alle masse.
    Ciò che Xi si è dimenticato di ricordare è che proprio a Xinyang una delle mirabolanti riforme del regime comunista ha causato la morte di un milione di persone. Era l'epoca del Grande balzo in avanti, la folle campagna di modernizzazione comunista dell'economia della Cina imposta da Mao. Dal 1958 al 1962 morirono di fame, o uccisi dai soldati, tra i 30 e i 40 milioni di persone.
    Nella regione di Xinyang, un milione di residenti su otto milioni morirono di fame e di abusi. Nel villaggio di Gaodadian, come riporta il New York Times, sono state erette due stele per ricordare i 72 abitanti (su un totale di 120) periti di stenti. I più anziani, sopravvissuti alla strage, ancora ricordano come la gente era ridotta a mangiare l'erba e a sventrare i cuscini per prendere e bollire le bucce di frumento. I più disperati sono arrivati addirittura a mangiare i cadaveri.

    IL MEMORIALE DIMENTICATO
    Il memoriale, ricoperto di sterpaglie, è stato eretto da Wu Yongkuan, oggi 75enne. Il padre, Wu Dejin, morì nella carestia dopo essere stato denunciato dai funzionari comunisti per aver osato chiedere del cibo per l'intero villaggio. Dopo aver creato il disastro, infatti, il regime accusò i contadini di nascondere il grano. Ancora oggi, gli abitanti del villaggio non accusano Mao per l'immensa strage: «Non è stata colpa sua, i leader non sapevano che la gente moriva di fame». Mao invece sapeva tutto ed è famoso un suo discorso del 25 marzo 1959, nel quale disse: «Quando non c'è abbastanza da mangiare, la gente muore di fame. È meglio lasciare che metà della popolazione muoia, così che l'altra metà possa mangiare a sazietà».
    Xi ovviamente non ha visitato il memoriale eretto da Wu Yongkuan. Da anni il presidente cinese mette in guardia i più alti quadri del regime, spiegando che l'Unione Sovietica è crollata quando le autorità hanno permesso alla gente di criticare gli errori del partito comunista. Ecco perché Xi mette a tacere i critici e si guarda bene dal citare l'interminabile lista di errori compiuti dal partito nel governo dalla Cina, come la Rivoluzione culturale (tre milioni di morti) o il massacro di Piazza Tienanmen (10 mila morti) o le alluvioni che hanno colpito l'Henan nel 1975 per il cedimento delle dighe costruite male (26 mila morti).
    Xi oggi magnifica i risultati ottenuti dal regime comunista in Cina, omettendo che la crescita economica e l'alleviamento della povertà sono costati decine di milioni di morti. Wu Ye, 51 anni, che ha aiutato il padre a erigere il memoriale per il nonno e gli altri cinesi morti di fame nel villaggio di Gaodadian, ha scoperto quale fosse la reale entità della catastrofe del Grande balzo in avanti solo quando si è trasferito negli Stati Uniti. «Su internet tanti cinesi continuano a dire che è impossibile che siano morte così tante persone. Vorrei potergli dimostrare la verità».
    Nella prefettura di Xinyang in pochi hanno fatto caso alla visita di Xi Jinping. La memoria della carestia è ancora troppo forte. «Oggi c'è abbastanza da mangiare», ricorda scoppiando a piangere Chen Xueying, 71 anni. «Ma allora passavano giorni e notti intere senza che si trovasse nulla. Abbiamo sofferto tanto. Sono morti tutti».

    Il politicamente corretto è comunismo puro

    Il politicamente corretto è comunismo puro
    TESTO DELL'ARTICOLO ➜ http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=5809

    IL POLITICAMENTE CORRETTO E' COMUNISMO PURO di Rino Cammilleri
    Continuiamo, e concludiamo, il discorso sul Politicamente Corretto, l'ultima (per ora) ideologia totalitaria con cui dobbiamo fare i conti. E sempre traendo spunto dal bel libro di Eugenio Capozzi, Politicamente Corretto. Storia di un'ideologia (Marsilio), al momento l'unico excursus storico di taglio accademico sul problema dell'ora presente.
    Alessandro Gnocchi, sul Giornale del 20 giugno u.s., ricordava che ricorre quest'anno il trentennale della caduta del comunismo (1989) e che tale ricorrenza praticamente nessuno se l'è filata. Per un paragone, il cinquantennale del Sessantotto ha ricevuto celebrazioni & rievocazioni cominciate già alla fine dell'anno precedente e continuate, sui media, anche oltre l'anno di scadenza. Perché? Il giornalista si è, tristemente, risposto: perché comandano sempre loro. Specialmente sui media. Un esempio tra i mille: l'aggressione "fascista" alle magliette amaranto del Cinema America a Roma; mentre scrivo ancora se ne parla, e su tutti i media, perfino quei pochi non di sinistra.

    IL RIVOLUZIONARIO PURO HA SEMPRE FATTO IL GIORNALISTA
    A Padova, stesso giorno, uno è stato pestato dagli "antifascisti", ma lo so solo grazie a un tweet del nostro Marco Tosatti. Il Sessantotto, in particolare in Italia, non fu affatto (io c'ero) quell'esplosione di libertà giovanile che i reduci millantano, bensì un'esplosione, sì, ma di intolleranza e di bastonate per chi non era d'accordo. Ed era tutto un ciclostile, fogli, scritte sui muri, giornali fondati inizialmente con pochi soldi, tanto chi ci scriveva lo faceva gratis. Ora, il rivoluzionario puro ha sempre fatto il giornalista, fin dai tempi di Marat, passando per Mazzini, Marx, Lenin, perfino Mussolini. Perché è un consacrato. Come il prete, che può arringare i fedeli ogni domenica. Parlare al popolo, insegnargli qual è il suo vero bene, additargli il peccato e i peccatori da cui deve guardarsi, indicargli continuamente il Regno dei Cieli. Sostituite a quest'ultimo il Sol dell'Avvenire e tutto sarà chiaro.
    Come il Regno dei Cieli, anche il Sol dell'Avvenire è ineffabile. Non si può descrivere, perciò non viene mai descritto. Come sarà non lo sanno i preti, e neanche i demagoghi. Si sa solo che sarà un paradiso, e dobbiamo fidarci della loro parola. La differenza, naturalmente, è ovvia: i credenti hanno i Santi come prova che è tutto vero; gli imboniti dai demagoghi hanno solo le chiacchiere di questi ultimi. I quali, però, hanno anche altri sistemi per mettere in riga i dubitanti. Il motto è: stai con noi con le buone o vedrai le cattive.
    Per quanto riguarda la generazione di gazzettieri sessantottardi che si era via via ingrossata fino a diventare preoccupante per il padronato (gli scioperi erano all'ordine del giorno, e le motivazioni salariali finirono con l'essere irrilevanti rispetto a temi come la guerra in Vietnam o il golpe in Cile), il padronato in questione escogitò la furbata di assumerli nei suoi giornali, così da stemperarne l'aggressività. Finì che le redazioni e perfino i vertici dei grandi media nazionali furono invasi da sessantottini. I quali oggi sono settantenni ma per niente disposti a schiodarsi. E, anche se lo facessero, ormai i segnali di pista sono i loro e non si può fare altro che seguirli (o subirli).

    IL MARXISMO È FINITO?
    Voi direte: ma il marxismo è finito, oggi c'è il Politicamente Corretto. E sbagliereste, perché il Politicamente Corretto è puro marxismo, anche se post-sovietico. Per primo se ne accorse Augusto Del Noce, ma pochi credono ai profeti, per il semplice fatto che bisogna attendere l'avverarsi della profezia; solo allora qualcuno si ricorderà, troppo tardi, che il profeta l'aveva detto.
    I più eruditi sanno che dietro al Sessantotto c'era la filosofia-sociologia della cosiddetta Scuola di Francoforte, marxista, i cui elementi più celebrati erano Adorno, Marcuse, Horkheimer. Fin dagli anni Trenta. All'avvento del nazismo emigrarono. Dove? Negli Usa, e qui, ovviamente, insegnarono nelle università.
    Infatti, si dimentica che il Sessantotto, ben prima del Maggio Francese, era scoppiato nei campus universitari americani. E oggi da dove viene il Politicamente Corretto? Sempre dalle università statunitensi, dove giunge a punte di grottesco, e di censura, che qui nella periferia dell'impero ancora non abbiamo visto (ma ce ne sono già i conati).
    La meccanica della rivoluzione è sempre la stessa, mutuata dalla dialettica hegeliana (il marxismo, lo ricordo, è hegelismo di sinistra): «dialettizzare i contrasti», aizzando («far prendere coscienza») la parte «debole». Oggi tocca a femmine contro maschi, e omo contro etero. Poiché qui non c'era il neri contro bianchi, i neri li si importa. In attesa che crescano di numero, godiamoci (si fa per dire) il Giugno Gay. Il mese è scelto per commemorare la rivolta (sempre americana) di Stonewall. Ma è anche il mese del Sacro Cuore e del Corpus Domini. Il che ci dà speranza.